Page 205 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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Trenta, tuttavia abbastanza duro. Me ne accorsi appena giunto a Ghivat
          Brenner dove per dormire con mia moglie e basta dovetti accettare una

          tenda.  Poi  da  Ghivat  Brenner  passai  a  un  kibbutz  di  frontiera  e  qui
          abitavo  in  una  baracca  dove,  per  divider  la  nostra  stanza  dalla  stanza
          degli altri non c’era che mezzo muro. Udivi ogni sospiro e… Guardi: per
          un italiano abituato all’individualismo come me, la mancanza di privacy
          era  più  odiosa  delle  trincee  e  del   lo  spinato.  Che  imbarazzo  la  prima

          volta che entrai nella sala da pranzo comune! Tutti allo stesso tavolo, con
          un  solo  coltello  per  tavolo.  A  volte  mi  chiedo  se  fossi  davvero
          l’individualista che dico. E il peggio non fu nemmeno questo. Il peggio fu

          amalgamarci  con  gli  altri:  non  conoscer  la  lingua,  le  abitudini,  il
          paesaggio. Io ad esempio mi trovai a contatto con gli emigrati polacchi e
          nordafricani:  cosa  avevo  in  comune  con  loro,  io,  italiano?  Per  molto
          tempo  mi  sentii  all’estero.  Anche  oggi  è  un  poco  così.  Perché  ecco:  la
          gente come me conosce talmente poco della storia ebraica. La gente come

          me conosce molto di più la mitologia greco-romana, ed è ormai tardi per
          noi sostituire una cultura con un’altra cultura. È ormai quasi impossibile
          colmar  le  lacune.  Siamo  sinceri:  l’ebraico  non  l’abbiamo  mai  imparato

          bene.  Siamo  riusciti  a  dimenticare  tante  parole  italiane  senza  imparar
          bene  l’ebraico.  Non  sappiamo  neanche  pronunciarlo  come  si  deve  e  il
          nostro vocabolario è scadente, povero. Solo chi sapeva un po’ di yiddish
          se la cava meglio. Per noi è come se all’improvviso, dopo un intervallo di
          duemila anni, gli italiani si mettessero a parlare latino. I nostri  gli non

          lo capiscono. Non capiscono nemmeno che siamo divisi in due: una parte
          del nostro cervello e del nostro cuore è qui, e una parte è in Italia. Io mi
          sento  orentino, ancor oggi. Eccome! Se dovessi scegliere una città dove

          abitare,  ancor  oggi,  sceglierei  Firenze.  Ciò  che  mi  è  mancato  di  più,
          arrivando qui, è stata Firenze. La sua bellezza, le sue cupole. Oddio, che
          rimpianto.  Dov’era  Palazzo  Pitti,  dov’era  Piazza  della  Signoria,  dov’era
          l’Arno, dov’era il ponte a Santa Trinità?
             Quando  uno  è  nato  in  una  città  come  Firenze  o  come  Venezia…

          Possibile che non prestassi attenzione a tanta bellezza negli anni in cui
          vivevo a Firenze? Passavo dinanzi a Palazzo Pitti e non lo vedevo, perché
          non  lo  guardavo.  Mi  sembrava  normale  che  fosse  lì,  alla  maniera  delle

          stagioni. C’è l’estate, pensavo, l’inverno. Palazzo Pitti… Il giorno in cui
          sono arrivato e ho visto queste strade diritte, queste case a cubo, questo
          deserto,  mi  si  è  chiuso  lo  stomaco.  La  prima  delusione  è  stato  il  monte
          Carmelo.  L’ho  guardato  e  ho  detto:  «O  icché  l’è?!?  Tutto  qui  il  famoso
          Carmelo?».

             L’altra delusione è stata il Giordano. Ho spalancato la bocca: «O questo,
          icché  sarebbe  I’Pisciatello?».  Non  m’è  parso  neanche  il  Mugnone,  m’è
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