Page 199 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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arabi! Lo dico soprattutto quando mi accorgo come sia di cile
amalgamare i vari ebrei della terra, qui in Israele. Fin dall’inizio della mia
infatuazione sionista, pensavo che sarebbe stato facile. Invece…
Quante volte mi chiedo: «Cosa accomuna me, ebreo italiano, a un ebreo
dello Yemen?». E non è tutto. Perché non posso dire d’esser contento di
ciò che, oggi, è Israele. Tanti nostri sogni sono degenerati, tanti nostri
ideali si son perduti per strada.
Non è un paese socialista come doveva essere, ad esempio, ed è alleato
con gli Stati Uniti che rappresentano il non plus ultra del capitalismo. È
amaro, per me, che si sia rimasti staccati dai socialisti. Sebbene mi sia
accorto che il socialismo in fondo è un’utopia, non posso fare a meno di
sentirmi ancora socialista. E il socialismo, per me, è Pietro Nenni. Però
una cosa è capire, una cosa è vivere. Anzi, sopravvivere. E quando si è
andati per anni a lavorare nell’aranceto col fucile a tracolla… Quando si
è scoperto che in America i gli degli italiani si sentono ancora italiani
ma in Israele i gli degli italiani si sentono israeliani e basta… Non si può
fare a meno di credere in Israele. E ci si batte perché Israele duri. Se sono
felice, qui? Questa è una domanda americana. Me l’ha posta anche mio
cugino che vive negli Stati Uniti. Cosa signi ca esser felici? Io non lo so.
Non l’ho mai saputo.
MOSHE ARTOM
In Italia perfino i comunisti e i maoisti sono borghesi: non ci tornerei
Io lasciai l’Italia, anzi Torino perché son torinese, nel 1938. Ero
cresciuto con quell’idea in testa. Per venire in Palestina avevo imparato
l’ebraico, per venire nel kibbutz m’ero iscritto ad agraria. Perché? Perché
mi sentivo diverso, mi sentivo ebreo.
Proprio il contrario di mio fratello che poi divenne partigiano in Val di
Susa. Sì, il nostro fu un po’ il caso dei fratelli Sereni: a mio fratello
premeva l’antifascismo perché gli interessava l’Italia, a me premeva il
sionismo perché mi interessava Herez Israel.
Ma non ci furono mai discussioni tra noi, né condanne reciproche. Io
trovavo logica la sua scelta e lui trovava logica la mia. Ed è interessante
osservare che non partii prima del 1938 perché volevo saldare i miei conti
con l’Italia facendo il soldato. La mia era una famiglia così assimilata da
vantare un avo che era stato consigliere di Cavour: mi sembrava corretto,
quindi, concludere il primo capitolo della mia esistenza facendo il soldato
per l’Italia. Quando vennero le leggi razziali e i giornali uscirono coi
titoloni «Esclusi gli ebrei dal servizio militare», io ero u ciale
nell’esercito. E, malgrado quei titoloni, mi ci tennero ancora due mesi. Gli