Page 197 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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giorno che me lo fecero, con quella specie di penna stilogra ca. Ebbene,
una volta che viaggiavo in treno da Milano a Trieste, un tipo mi chiese:
«Cos’è quel tatuaggio?». Io glielo spiegai e, così facendo, mi lasciai
trascinare dai racconti. Per un’ora, due ore. Parlai e parlai nché mi
sentii so ocare e mi alzai per prendere una boccata d’aria nel corridoio. E
mentre sono nel corridoio, ecco che il tipo dice a un altro dello
scompartimento: «Ma quante balle riesce a raccontar quel triestin!». Da
allora, se in Italia mi chiedevano cos’è quel tatuaggio, rispondevo: «È il
telefono della mia danzata». Qui invece dico: «Era il mio numero ad
Auschwitz».
Io in Italia avevo molti amici. Soprattutto nel Partito Comunista perché,
dopo la guerra, il Partito Comunista era a favore degli ebrei e di Israele.
Con loro mi dedicavo all’attività sionista: trasporto degli ebrei, sabotaggi.
Nel 1948, per esempio, partecipai alla distruzione di tre aerei comprati
dagli egiziani: nel campo di aviazione Macchi, vicino a Varese. Partecipai
anche al dirottamento di una nave egiziana carica di armi.
Mi ritirai quando Mosca impartì ai comunisti italiani ordini diversi,
quando insomma ci fu il voltafaccia. Provai troppo dolore. Mi arrabbiai
con gli italiani. Sa come sono gli italiani. Per umanità aiutano tutti: gli
antifascisti, i fascisti, gli ebrei… Però non si impegnano mai a fondo e
magari, di colpo, cambiano idea. Così, non appena ci fu la scissione nel
kibbutz Ghivat Brenner e si formò il kibbutz Nezer Sereni, liquidai tutto in
Italia e partii: con Gisella e i bambini. E la sera in cui la nave giunse a
Haifa mi sentii commosso, perché mi sentii a casa. E da quella sera non
ebbi rimpianti, perché non mi sentii mai un italiano in esilio. Devo
spiegarmi meglio. A me piacciono gl’italiani. Sia pure attraverso le
amarezze delle leggi razziali e del dopoguerra, io mi son sempre trovato
bene in Italia. Ho per no partecipato alla vita politica italiana facendo
propaganda per il Fronte Popolare nel 1948. La politica italiana mi
interessa ancora. La seguo e so ro a vedere che i partiti buoni non
contano più, che i comunisti vanno a braccetto coi democristiani. Penso in
italiano. Leggo in italiano. Ogni settimana ricevo «L’Europeo» e la
«Settimana Enigmistica». Se mi arriva un libro italiano sono felice: ci ho
messo un anno ad imparare l’ebraico e non l’ho mai imparato bene. È una
lingua astrusa, la parlo perché sono in Israele e perché i miei gli si
rivolgono a me solo in ebraico. Ma con mia moglie parlo spesso italiano,
anzi triestino, e in italiano mi arrabbio quando c’è un campionato
internazionale di calcio e fo il tifo per l’Italia. Non solo: l’anno scorso il
kibbutz mi ha offerto un viaggio all’estero e ho scelto l’Italia.
Sono andato a Roma, a Bari, a Venezia, a Piacenza, a Pisa, a Napoli: e
neanche per visitare i miei parenti che ancora vivono là. Tuttavia, dopo