Page 198 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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un mese, m’è venuto voglia di tornare a casa. Sono italiano di gusti, di
mentalità, di cultura, ma non di nazionalità.
La mia casa è qui.
Certo che m’è piaciuto rientrare in Italia. Per prima cosa, m’è piaciuto il
mangiare.
Oddio, come si mangia bene in Italia! Per diciotto anni m’ero
dimenticato che si potesse mangiar così bene. La bellezza di poter
ordinare le pastasciutte in dieci modi diversi…
Io vo matto per le pastasciutte. La bellezza di poter ordinare il pesce di
cento qualità…
Io vo matto per il pesce. L’ingordigia mi ammazzava, in Italia. Dopo la
frutta, non riuscivo ad alzarmi da tavola. Perché qui, nel kibbutz, siamo
ossessionati dall’idea del mangiare e si mangia spesso. Ma così male, così
male! E poi in Italia m’è piaciuto ritrovar le montagne, rivedere la neve.
Qui non c’è mai neve, d’inverno non si va a sciare. M’è anche piaciuto
scoprire che gli italiani non sono riusciti a rovinare tutto: i monumenti e
la natura li hanno salvati. Però la gente l’ho vista cambiata e i giovani
m’hanno intristito: la loro contestazione è così falsa, così incoerente!
Dicono d’essere rivoluzionari e poi vivono da borghesi. Neanche la
rivoluzione signi casse far bordello per le strade. Io ho una nipote che si
chiama Silvia. Fa la maoista e poi ha la cameriera e la macchina. Osa
anche dire «reazionario» a me che vivo in un kibbutz, e non ho la
cameriera, non ho la macchina, mangio alla tavola comune e mando i
miei gli alla scuola di tutti. La Silvia è anche antisionista, come la
maggior parte dei giovani ebrei che ho conosciuto in Italia. Odiano
talmente gli israeliani che fanno le collette per Al Fatah.
No, non provo rancore per loro. Chi è stato ad Auschwitz nisce per
capire tutti e ogni cosa. Non ho rancore nemmeno per gli ebrei che sono
rimasti in Italia: dopotutto, la maggior parte della mia famiglia è rimasta
in Italia. Dopo i miei genitori, è venuto solo un mio fratello. L’altro
insegna al liceo di Bari, è sposato a una non ebrea e fa parte di quel
gruppo di ebrei che presto niranno d’essere ebrei perché diverranno
assimilati del tutto. Una mia nipote che lavora alla TV, per esempio, ha
avuto un periodo di incertezza drammatica: venire in Israele o no? Poi ha
scelto di non venire e i suoi gli, son certo, non si porranno più quel
dilemma. Capisco tutti, ripeto, ma… Io credo in Israele. Ci credo sebbene,
quando penso agli arabi, divenga ambivalente: nel senso che so di avere
ragione ma so che anche lui ha ragione. Lui ha ragione perché per secoli
ha pascolato qui le sue capre. Io ho ragione perché prima di lui ci stavo io
e sono stato cacciato e sono rimasto senza patria. E il problema mi
tormenta mentre dico: peccato che non si sia riusciti a convivere, noi e gli