Page 194 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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e  i  due   gli.  Uno  di  ventiquattro  e  uno  di  ventidue  anni,  come  me.
          Eravamo  adibiti  al  trasporto  dei  sacchi  di  cemento,  i  sacchi  pesavano

          cinquanta chili ciascuno, e bene o male i due giovani ce la facevano: il
          farmacista,  no.  Così  i  kapò  lo  fracassavan  di  botte,  ogni  volta,  e  i   gli
          non reagivano mai. Sembrava che la cosa non li riguardasse nemmeno.
          Io,  lo  stesso.  Nel  gennaio  del  1945  i  tedeschi  evacuarono  Auschwitz:  la
          famosa ritirata lungo la neve.

             Partimmo  in  duemila  e  arrivammo  in  cento.  Io  avevo  un  amico,  il
          dottor Marco Fano di Torino. Al campo lavoravamo insieme, dormivamo
          insieme. E insieme lasciammo Auschwitz. Ma al quarto giorno di marcia

          Marco si distese sulla neve e mi disse:
             «Martino,  io  non  ce  la  faccio  più».  Bastava  che  gli  rispondessi:
          «Coraggio, Marco.
             Forza, Marco. Appoggiati alla mia spalla, ti aiuto». Non glielo dissi. Gli
          porsi la mano e gli dissi: «Allora ciao, Marco». Poi ripresi a camminare e,

          quando udii lo sparo, non mi girai neanche. Non me ne importò nulla che
          Marco fosse morto ammazzato: a me premeva soltanto d’essere vivo e di
          farcela. Ecco. Non ha idea di ciò che è stato per me il processo Eichmann.

          Mi ha liberato del senso di colpa, del senso di vergogna in cui ho vissuto
          dopo.  La  colpa  e  la  vergogna  d’essermi  comportato  così,  anche  con
          Marco, di non aver fatto nulla per difendermi. Il processo Eichmann mi
          ha  dimostrato  che  non  ero  solo  a  portar  quella  colpa,  quella  vergogna:
          milioni di ebrei avevano fatto ciò che avevo fatto io. Prima del processo

          Eichmann, io non avevo nemmeno il coraggio di raccontare ai miei  gli
          ciò  che  avevo  so erto.  Come  confessar  loro  che  ad  Auschwitz  eravamo
          settantamila  internati  contro  170  SS?  A  sputi  avremmo  potuto  far  fuori

          quei  centosettanta  SS.  A  sputi.  Eppure  non  ci  provammo  mai:  non
          eravamo più uomini, eravamo cimici. Io non so cosa ci facessero quando
          si entrava. Che ci mettessero del bromuro dentro la brodaglia? Qualcosa
          dovevano  darci  perché  cambiavamo  anche   sicamente:  le  donne  ad
          esempio  non  avevano  più  mestruazioni,  gli  uomini  non  avevano  più

          stimoli sessuali. Per no i casi di omosessualità erano rarissimi, io ricordo
          l’indi erenza con cui guardavo passare le donne nude. Non perché fossero
          brutte  o  deperite:  perché  mi  mancava  ogni  reazione   siologica.  Dopo  il

          processo Eichmann, non mi son più sentito una pecora. Ecco. Nemmeno
          quando i miei  gli chiedevano: «Ma perché non vi siete battuti? Perché vi
          siete lasciati ammazzare così?!?».
             Devo raccontare queste cose per dare un senso alla mia venuta quaggiù.
          Nella  seconda  metà  del  1944  gli  ebrei  ad  Auschwitz  erano  l’ottanta  per

          cento. All’arrivo venivan selezionati. I più deperiti  nivano subito nelle
          camere a gas, gli altri invece a lavorare: in attesa della morte. Salvarsi ad
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