Page 166 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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riuscito a tirargli fuori qualcosa per qualche minuto. Subito dopo s’è messo
in testa il berretto delle preghiere e ha incominciato a pregare. Lui che
non pregava mai, che non è mai stato religioso. Dal momento che ha
parlato con me, non fa che starsene con quel berretto in testa, a biascicar
preghiere. È come impazzito. Pensi che a Monaco non volle nemmeno
rientrare nella camera numero Uno per raccogliere i suoi indumenti e
indicare quelli degli altri. Ripeteva: «È una stanza insanguinata, è una
stanza insanguinata!». Dovetti raccogliere tutto io. Il pacco dei suoi
indumenti è nel mio u cio, qui a Tel Aviv. Ma lui non lo vuole. Ripete:
«È roba insanguinata, è roba insanguinata!». Poi torna a pregare, con
quel pigolio di uccellino ferito.
La storia. Dunque, come andò la storia. Andò così. Moshe Weinberg era
stato in città e aveva fatto tardi. Le quattro del mattino a far poco. A
quell’ora rientrò al Villaggio olimpico, infatti era l’unico vestito del
gruppo, e gli arabi lo catturarono mentre rientrava. Forse lo catturarono
proprio dinanzi alla porta della numero Uno. Non dovette esser facile
perché Moshe era un toro di due metri e cinque, pesava centotrenta chili,
era stato campione di lotta libera. Gli spararono allora quel colpo che lo
avrebbe ferito alla faccia? Credo di sì. Comunque, lo indussero a far
socchiudere la porta della numero Uno. O a farla aprire, chissà. La aprì
Yossef Guttfreund, l’arbitro. E Yossef scorse gli arabi incappucciati, coi
mitra, allora tentò di richiuder la porta e gridò ai compagni di stanza:
«Ragazzi, scappate! Salvatevi!». Me l’ha detto Sokolski che ricorda bene
quel grido e il volto nero di un arabo che cerca di entrare. Poi non ricorda
più nulla. Nulla fuorché il balzo che fece verso la nestra, la forza con cui
scardinò la nestra. Portò via per no gli in ssi. E a piedi nudi, in
pigiama, saltò nella piazzetta, la attraversò e si rifugiò negli alloggi dei
coreani dove rimase no alle nove. Nel trambusto che seguì la sua fuga
partirono i colpi che mi svegliarono alle quattro e mezzo. Quindi gli arabi
si divisero in due gruppi e un gruppo rimase a guardia della stanza
numero Uno, un altro andò in cerca di nuovi ostaggi. Si fecero aiutare da
Weinberg per cercare nuovi ostaggi: forse appro ttando del fatto che
Weinberg fosse ferito alla guancia, non più in grado di lottare.
Weinberg non li condusse nella stanza adiacente, la numero Due. Nella
numero Due c’erano i tiratori e gli schermidori: gente gracile, dai muscoli
lisci, quindi incapace di difendersi. Non li condusse nemmeno alla numero
Quattro: sapeva che i due dottori erano piccoli, delicati. Non li condusse
nemmeno alla numero Cinque; sapeva che qui ero solo. Scelse la numero
Tre perché sapeva che era abitata da atleti robusti: pesisti, lottatori.
Sperava, e mi sembra logico, che Berger e Zabari e Slavine e Hal n
avrebbero respinto l’attacco. Invece i quattro erano assonnati e si