Page 161 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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Monaco 1972



                                      Il racconto dei superstiti





             Questo  è  il  racconto  di  Shmuel  Lalkin,  il  capo  della  delegazione
          israeliana  alle  Olimpiadi,  scampato  alla  cattura  dei  terroristi  arabi
          insieme  a  quattro  atleti  e  due  medici.  Lalkin,  che  il  commando  arabo

          cercò inutilmente, seguì la tragedia ora per ora: dal momento in cui gli
          otto irruppero negli alloggi degli israeliani, al momento in cui gli ostaggi
          furono imbarcati sugli elicotteri che li avrebbero condotti alla morte.
             L’intervista  con  Lalkin  è  avvenuta  nella  sua  casa  di  Tel  Aviv,  e  si  è

          svolta in inglese.
             Lalkin, che in Israele gode di molto prestigio anche per il suo passato di
          patriota e soldato, parlava con freddezza e distacco: sottolineando che le
          sue  conclusioni  rappresentavano  solo  il  suo  giudizio.  Ma  è  il  caso  di

          spiegare  che  tale  giudizio  coincide  col  giudizio  di  quasi  tutti  i  suoi
          connazionali.

             Gli  spari  mi  svegliarono  alle  quattro  e  mezzo  del  mattino.  Spari

          soffocati, lontani.
             Avrei  dovuto  capirlo  che  venivano  da  un  recinto  chiuso,  da  una  delle
          nostre stanze.
             Invece  mi  alzai,  andai  alla   nestra,  e  pensai:  strano,  sembrano  spari

          ma  non  sono  certo  che  si  tratti  di  spari,  deve  trattarsi  di  gente  che  fa
          chiasso o che ha rotto qualcosa. Poi pensai: ma sì, è qualche scemo che si
          diverte a far scoppiare petardi o qualche pazzo che ha vinto le gare di tiro
          e continua a pigiare il grilletto. Al Villaggio olimpico c’erano sempre tanti

          rumori: giorno e notte, anche tardi la notte. Mi a acciai sulla strada. Era
          già giorno chiaro, per strada non si vedeva nessuno. Né un poliziotto, né
          uno  sportivo,  nessuno.  Conclusi  che  i  petardi  o  gli  spari  stessero
          scoppiando in una sezione distante dalla nostra e tornai a letto. Neanche

          per un attimo sospettai che succedesse qualcosa in una delle nostre stanze.
          Noi israeliani avevamo questa casa di cinque stanze e io dormivo da solo
          nella stanza numero Cinque. In quella numero Quattro dormivano i due
          medici  della  squadra.  In  quella  numero  Tre  dormivano  i  lottatori  e  i

          pesisti.  In  quella  numero  Due  dormivano  gli  schermidori  e  i  tiratori.  In
          quella  numero  Uno  dormivano  gli  allenatori.  E  ciascuna  stanza  distava
          dall’altra meno di quattro metri.
             Restai a letto per dieci, quindici minuti: a tentar di riprendere sonno.
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