Page 136 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
P. 136

Raggiunsi  una  base  segreta  e  preparai  la  bomba  per  la  cafeteria
          dell’Università  Ebraica.  Questo  accadde  il  2  marzo  e  purtroppo  io  non

          potei  piazzare  la  bomba,  che  non  ebbe  un  esito  soddisfacente.  Solo
          ventotto  studenti  restaron  feriti,  e  nessun  morto.  In  compenso  le  cose
          peggiorarono molto per me: la mia fotogra a apparve dappertutto e la
          polizia  prese  a  cercarmi  ancor  più  istericamente.  Fu  necessario
          abbandonare  la  base  segreta  e  da  quel  momento  dovetti  cavarmela

          proprio da me. Mi trasferivo di casa in casa, una notte qui e una notte là,
          per strada mi sembrava sempre d’esser seguita. Un giorno un’automobile
          mi seguì a passo d’uomo per circa due ore. Esitavano a fermarmi, credo,

          perché  ero  molto  cambiata  e  vestita  come  una  stracciona.  Riuscii  a  far
          perdere le mie tracce e, in un vicolo, bussai disperatamente a una porta.
          Aprì un uomo, cominciai a piangere e a dire che ero sola al mondo: mi
          prendesse a servizio per carità. Si commosse, mi assunse e rimasi lì dieci
          giorni. Al decimo, giudicai saggio scomparire.

             Ero appena uscita che la polizia israeliana arrivò e arrestò l’uomo. Al
          processo,  malgrado  ignorasse  tutto  di  me,  fu  condannato  a  tre  anni.  È
          ancora in prigione.


             Te ne dispiace, Rascida?.

             Che  posso  fare?  In  carcere  ce  l’hanno  messo  loro,  mica  io.  E  io  ho
          sofferto tanto. Tre mesi di caccia continua.


             Ci  credo,  avevi  fatto  scoppiare  tre  bombe!  E  come  tornasti  in  Giordania,
          Rascida?


             Con  un  gruppo  militare  del  Fronte.  Si  passò  le  linee  di  notte.  Non  fu
          semplice, dovemmo nasconderci molte ore nel  ume e bevvi un mucchio
          di quell’acqua sporca.
             Sono  ancora  malata.  Ma  partecipo  lo  stesso  alle  operazioni  da  qui  e

          l’unica  cosa  che  mi  addolora  è  non  poter  più  mettere  bombe  nei  luoghi
          degli israeliani.


             E non vedere più i tuoi genitori, averli mandati in carcere, ti addolora?

             La mia vita personale non conta, in essa non v’è posto per le emozioni
          e le nostalgie. I miei genitori li ho sempre giudicati brava gente e tra noi
          c’è sempre stato un buon rapporto, ma v’è qualcosa che conta più di loro

          ed è la mia patria. Quanto alla prigione, li ha come svegliati: non sono
          più rassegnati, indi erenti. Ad esempio potrebbero lasciare Gerusalemme,
   131   132   133   134   135   136   137   138   139   140   141