Page 139 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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Al  campo  Schneller  conobbi  una   dajat  che  si  chiamava  Hanin,
          Nostalgia. La intervistai e mi disse d’avere venticinque anni, un  glio di

          sei e una  glia di due. Le chiesi: «Dove li hai lasciati, Hanin?» Rispose: «In
          casa, oggi c’è mio marito». «E cosa fa tuo marito?» «Il  dayn. Oggi è in
          licenza.» «E quando non c’è tuo marito?» «Qua e là.» «Hanin, non basta
          un  soldato  in  famiglia?»  «No,  voglio  passare  anch’io  le  linee,  voglio
          andare  anch’io  in  combattimento.»  Poi  ci  mettemmo  a  parlare  di  altre

          cose, del negozio di antiquariato che essi possedevano a Gerusalemme, del
          fatto  che  non  gli  mancassero  i  soldi  eccetera.  La  conversazione  era
          interessante, si svolgeva direttamente in inglese, e io non mi curavo del

          lieve  sospiro,  quasi  un  lamento,  che  usciva  dalle  pieghe  del  kassiah.  I
          grandi occhi neri erano fermi, la fronte era appena aggrottata, e pensavo:
          poverina,  è  stanca.  Ma  poi  l’istruttore  chiamò,  era  giunto  il  turno  di
          sparare  al  bersaglio,  e  Hanin  si  alzò:  nell’alzarsi  le  sfuggì  un  piccolo
          grido. «Ti senti male, Hanin?» «No, no. Credo soltanto d’essermi slogata

          un  piede.  Ma  ora  non  c’è  tempo  di  metterlo  a  posto,  lo  dirò  quando  le
          manovre saranno  nite.» E raggiunse le compagne, decisa, col suo piede
          slogato.

             Per capire Rascida, o provarci, bisogna anche avere visto le donne che
          hanno fatto la guerra senza allenarsi: a rontando di punto in bianco la
          morte,  la  consapevolezza  che  la  crudeltà  è  indispensabile  se  vuoi
          sopravvivere.  In  un  altro  campo  conobbi  Im  Castro:  signi ca  Madre  di
          Castro. Im essendo l’appellativo che i guerriglieri palestinesi usano per le

          donne, e Castro essendo il nome scelto da suo  glio maggiore:  dayn. Im
          Castro era un donnone di quarant’anni, con un corpo da pugile e un volto
          da  Madonna  bruciata  dalle  intemperie.  Acqua,  vento,  sole,  rabbia,

          disperazione, tutto era passato su quei muscoli color terracotta riuscendo
          a renderli più forti e più duri anziché sgretolarli.
             Contadina a Gerico, era fuggita nel 1967 insieme al marito, il fratello, il
          cognato, due  gli maschi e due femmine. Qui era giunta dopo Karameh e
          qui viveva sotto una tenda dove non possedeva nulla fuorché una coperta

          e un rudimentale fornello con due pentole vecchie. Le chiesi: «Im Castro,
          dov’è  tuo  marito?».  Rispose:  «È  morto  in  battaglia,  a  Karameh».  «Dov’è
          tuo fratello?» «È morto in battaglia, a Karameh.» «Dov’è tuo cognato?» «È

          morto in battaglia, a Karameh.» «Dove sono i tuoi  gli?» «Al fronte, sono
           dayn.»  «Dove  sono  le  tue   glie?»  «Agli  addestramenti,  per  diventare
          fidajat.»
             «E tu?» «Io non ne ho bisogno, lo so usare il kalashnikov, il Carlov, e
          queste qui.»

             Sollevò un cencio e sotto c’era una dozzina di bombe col manico. «Dove
          hai imparato a usarle, Im Castro?» «A Karameh, combattendo col sangue
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