Page 143 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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Hussein di Giordania




             Il  re  era  il  ritratto  dell’amarezza,  del  dolore  orgoglioso  e  privo  di
          qualsiasi illusione.

             Non potevi osservarlo senza avvertire come un bisogno di far qualcosa
          per lui, magari sussurrargli: «Pianti tutto, maestà. Venga via, si salvi. Se
          resta, l’ammazzano. Se l’ammazzano, nessuno le dirà grazie. Non ne vale
          la pena, maestà, ha rischiato  n troppo. Lei ha solo trentatré anni». Più

          che sussurrarglielo anzi glielo avresti gridato, e a trattenerti non era mica
          il  timor  d’insultarlo:  era  sapere  che  lui  sapeva.  Stava  scritto  sopra  quel
          volto  dove  i  ba   pendono  già  spruzzati  di  grigio,  dove  le  rughe
          a ondano già il ricordo di una giovinezza remota. Hai mai visto un volto

          più triste del volto di Hussein? I suoi occhi son polle di malinconia, le sue
          labbra son strisce di avvilimento, sembra che stia per piangere anche se
          sorride o ride. Del resto non credo che sappia ridere: escluso, forse, nelle
          rare  pause  in  cui  gioca  coi   gli.  Ovunque  e  comunque  tu  lo  sorprenda,

          egli ha l’aria di un uomo al quale non puoi dire che la vita è un dono di
          Dio.
             La vive, sì, e non certo da asceta o santone: gli piacciono le donne, le
          motociclette, le auto da corsa, le vacanze al mare e le emozioni violente.

          La difende, sì, e non certo da debole: ha imparato per questo a usar la
          pistola  e  ha  una  mira  infallibile.  Però  con  distacco,  con  rabbia  oserei
          insinuare, e il sospetto che ogni giorno sia l’ultimo giorno.
             Il re sedeva su una poltrona del suo u cio a palazzo reale e indossava

          un completo verdognolo, non molto elegante, con una camicia che invece
          gli stava bene e una cravatta scelta con gusto. La poltrona era immensa e
          ciò lo rendeva più piccolo di quanto egli sia: un metro e cinquantanove
          all’incirca. Se vi appoggiava la schiena, i suoi piedi s oravano appena il

          tappeto.  Ma  lui  ve  l’appoggiava  lo  stesso,  posando  i  gomiti  sopra  i
          braccioli  e  intrecciando  le  mani  all’altezza  dello  stomaco:  quasi  a
          dimostrarti  che  la  bassa  statura  non  gli  dà  alcun  complesso  e  infatti  la
          porta con gran dignità, aiutato da un corpo ben sviluppato. Spalle larghe,

          bicipiti  gon ,  cosce  solide  e  polpacci  muscolosi.  Il  corpo  di  un  torello
          sempre  in  cerca  di  una  rissa  o  una  monta,  e  il  paragone  ti  viene
          spontaneo se dimentichi il volto: v’è in lui la forza disperata del giovane
          toro  che  non  cede  mai.  Tu  lo  prendi  al  laccio  e  lui  scappa,  poi  torna

          indietro e si avventa. Lo riagguanti, lo chiudi dentro una gabbia, e lui la
          scuote  nché non lo liberi per farlo entrar nell’arena. Dove si batte: più lo
          stuzzichi, più lo tormenti, più lo ferisci, più lui si batte. Sia pure in modo
          incerto, confuso, sbagliato: una cornata qui, una testata là, una corsetta
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