Page 144 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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laggiù.  La  politica  di  Hussein.  Uno  si  chiede  se  la  sua  amarezza,  la  sua
          tristezza non nascano principalmente da questo, e cioè dal rendersi conto

          d’esser solo un giovane toro scaraventato in una corrida da cui non può
          uscire che morto. Picadores, banderilleros, toreri, amici, nemici, israeliani,
          egiziani, siriani, palestinesi, sono tutti uniti contro di lui: in una congiura
          facile e un po’ vigliacca. È molto simpatico Hussein, molto rispettabile: se
          stai dalla parte del toro. Io ci sto. Il re non materializzava in nessun gesto

          particolare quel che ho detto  nora. Al contrario. Il suo atteggiamento era
          tranquillo,  cordiale,  il  suo  sorriso  era  disinvolto.  Lo  era  stato  sin
          dall’attimo  in  cui  aveva  spalancato  la  porta  e  m’aveva  stretto  la  mano

          chiedendo se mi trovassi bene in Giordania e se nessuno m’avesse recato
          torto: ove accadesse, lo informassi subito. A chi aveva alluso non so, ma il
          tono  apparteneva  al  padrone  di  casa  il  quale  vuol  rammentarti  che  il
          padrone di casa è lui e non coloro che hai incontrato prima. Chiarito il
          punto,  il  re  mi  aveva  o erto  una  sigaretta  giordana  e  s’era  chinato  ad

          accenderla:  divertendosi  alla  frase  con  cui  avevo  sottolineato  la  mia
          ignoranza di protocollo. «Mi hanno raccomandato di rivolgermi a lei con
          un Sua Maestà, ed è la seconda volta che me ne scordo… Maestà» «Lasci

          perdere,» aveva risposto «oggigiorno un re non è che un impiegato dello
          Stato, non è proprio il caso di far cerimonie. E io non ne fo mai.»
             Cosa molto vera se pensi che i giornalisti li riceve spesso in maniche di
          camicia e che abita in una villetta di poche stanze dove i servi son pochi e
          sua moglie fa da mangiare.

             Sua  moglie,  si  sa,  è  una  brava  ragazza  che  faceva  la  dattilografa  a
          Londra.  Inglese,   glia  di  un  colonnello  a  riposo,  si  chiamava  soltanto
          Toni  Gardiner  e  non  aveva  da  o rirgli  che  la  sua  semplicità.  Nessuno

          potrebbe  accusarla  di  ostentare  una  bellezza  o  un’ambizione  accecanti:
          ri utò  sempre  il  titolo  di  regina  e  accettò  a  malincuore  il  titolo  di
          principessa  impostole  insieme  a  un  nuovo  nome,  Muna,  che  vuol  dir
          Desiderio.  Lui  le  vuol  bene  appunto  per  questo.  Chiesi  al  re  se  potevo
          incominciar l’intervista. Annuì e nello stesso momento la sua disinvoltura

          scomparve. La voce che prima era suonata maschia, autoritaria, si appassì
          e si spense in un bisbiglio garbato. «Prego, faccia pure.» Ciò mi indusse a
          sospettare una cosa di cui non avevo nemmen considerato l’eventualità:

          che  fosse  timido.  Lo  è.  Proprio  nel  modo  in  cui  lo  sono  i  tori  da
          combattimento  quando  scoprono  che  non  gli  fai  del  male  e,  colti  da
          imbarazzo,  retrocedono  piegando  il  collo.  Ma  ne  resti  sorpreso.  Non  ti
          sorprende  invece  l’intuito  da   era  con  cui  egli  previene  i  tuoi  colpi,
          l’abilità  serpentina  con  cui  li  para.  Infatti,  se  la  sua  educazione  è

          occidentale (non dimentichiamo che Hussein studiò in un collegio svizzero
          e  fu  plasmato  da  Glubb  Pascià  cioè  l’inglese  che  gli  mise  in  piedi
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