Page 78 - Oriana Fallaci - Lettera a un bambino mai nato
P. 78

induce a riflettere. Dice: «Ti conosco abbastanza per evitare di

        consolarti affermando che hai fatto bene a sacrificare il bambi-
        no a te stessa anziché te stessa a lui. Sai meglio di me (sei stata

        tu a gridarlo cacciandomi) che una donna non è una gallina, che

        non tutte le galline covano le uova, che molte le abbandonano,
        che altre se le bevono. Né noi le condanniamo per questo, o non

        più di quanto si condanni la natura che uccide con le malattie
        e i terremoti. Ti conosco abbastanza anche per evitare di ricor-

        darti che la crudeltà della natura e di certe galline contiene una

        logica e una saggezza: se ogni possibilità di esistenza diventasse
        esistenza, morremmo per mancanza di spazio. Sai meglio di me

        che nessuno è indispensabile, che il mondo se la sarebbe ca-

        vata ugualmente se Omero e Icaro e Leonardo da Vinci e Gesù
        Cristo non fossero nati: il figlio che hai voluto perdere non lascia

        vuoti, la sua scomparsa non reca danno né alla società né al

        futuro. Ferisce soltanto te, e oltremisura, perché il tuo pensie-
        ro ha ingigantito un dramma il quale, forse, non è nemmeno un

        dramma. (Povera cara: hai scoperto che pensare significa soffri-
        re, che essere intelligenti significa essere infelici. Peccato che ti

        sia sfuggito un terzo punto fondamentale: il dolore è il sale della

        vita e senza di esso non saremmo umani.) Non ti scrivo dunque
        per compiangerti. Ti scrivo per congratularmi,  per riconoscere

        che hai vinto. Ma non perché ti sei scrollata di dosso la schiavitù
        di una gravidanza e di una maternità: perché sei riuscita a non

        cedere al bisogno degli altri, incluso il bisogno di Dio. Proprio il

        contrario di ciò che è successo a me. Eh, sì. L’invidia verso coloro
        che credono in Dio mi ha talmente assalito in questi ultimi mesi

        da diventar tentazione, ed ho ceduto alla tentazione.

           Lo riconosco ammettendo la mia stanchezza. Dio è un punto
        esclamativo con cui si incollano tutti i cocci rotti: se uno ci crede

        vuol dire che è stanco, che non ce la fa più a cavarsela da sé. Tu

        non sei stanca perché sei l’apoteosi del dubbio. Dio è per te un
        punto interrogativo, anzi il primo punto interrogativo di infiniti

        punti interrogativi. E solo chi si strazia nelle domande per trova-
        re risposte, va avanti; solo chi non cede alla comodità di credere

        in Dio per aggrapparsi a una zattera e riposarsi, può incominciare




                                                           76
   73   74   75   76   77   78   79   80   81   82   83