Page 75 - Oriana Fallaci - Lettera a un bambino mai nato
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troppo tardi: mi stavo già suicidando. Non piangere, mamma: io

        mi rendo conto che facevi questo anche per amore, per prepa-
        rarmi a non cedere il giorno in cui l’orrore di esistere mi avrebbe

        investito. Non è vero che non credi all’amore, mamma. Ci credi

        tanto da straziarti perché ne vedi così poco, e perché quello che
        vedi non è mai perfetto. Tu sei fatta d’amore. Ma è sufficiente

        credere all’amore se non si crede alla vita? Non appena compre-
        si che tu non credevi alla vita, che facevi uno sforzo ad abitarci e

        portando me ad abitarci, io mi permisi la prima e l’ultima scelta:

        rifiutar di nascere, negarti per la seconda volta la luna. Ormai
        potevo, mamma. Il mio pensiero non era più il tuo pensiero: ne

        possedevo uno mio.

           Piccolo forse, abbozzato, ma in grado di trarre questa conclu-
        sione: se la vita è un tormento, approdarci perché?

           Non mi avevi mai detto perché si nasce. Ed eri stata abbastanza

        onesta da non imbrogliarmi con le leggende che avete inventa-
        to per consolarvi: il Dio onnipotente che crea a sua immagine e

        somiglianza, la ricerca del bene, la corsa al paradiso. La tua sola
        spiegazione era stata che eri nata anche tu, e prima di te la tua

        mamma, prima della tua mamma, la mamma della tua mamma:

        all’indietro verso uno ieri di cui si perdevan le tracce. Si nasceva
        insomma perché altri eran nati e perché altri nascessero: in un

        prolificare affine a se stesso. Se non accadesse così, mi dicesti
        una sera, la specie umana si estinguerebbe. Anzi non esistereb-

        be. Ma perché dovrebbe esistere, perché deve esistere, mamma?

        Lo scopo qual è? Te lo dico io, mamma: un’attesa della morte, del
        niente. Nel mio universo che tu chiamavi uovo, lo scopo esisteva:

        era nascere. Ma nel tuo mondo lo scopo è soltanto morire: la vita

        è una condanna a morte. Io non vedo perché avrei dovuto uscire
        dal nulla per tornare al nulla«.




           Allora ho compreso quant’era fondo e irrimediabile il male che
        ti avevo inflitto e che avevo inflitto a me stessa, alle cose in cui

        mi costringo a credere: nascere per essere felici, liberi, buoni, per
        battersi in nome della felicità, della libertà, della bontà, nascere

        per tentare, sapere, scoprire, inventare. Per non morire. E in pre-




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