Page 76 - Oriana Fallaci - Lettera a un bambino mai nato
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da al panico mi sono augurata che tutto ciò fosse un sogno, un
incubo da cui sarei uscita per ritrovarti vivo, bambino dentro di
me, e ricominciare daccapo, senza spaventarmi, senza mostrarmi
impaziente, senza rinunciare alla fede che ha nome speranza, e
ho scosso la gabbia: dicendo a me stessa che non esisteva. La
gabbia ha resistito.
Era davvero una gabbia ed era davvero un tribunale e s’era
svolto davvero un processo dove tu mi avevi giudicato colpevole
perché io mi giudicavo colpevole mi avevi condannato perché
io mi condannavo. Restava soltanto da decider la pena e questa
era ovvia: rifiutare la vita e tornare al nulla con te. Ti ho teso le
braccia.
Ti ho supplicato di portarmi via con te, subito. E tu mi sei venu-
to accanto, mi hai detto: «Ma io ti perdono, mamma.
Non piangere. Nascerò un’altra volta«.
Splendide parole, bambino, ma parole e basta. Tutti gli spermii
e tutti gli ovuli della terra uniti in tutte le possibili combinazioni
non potrebbero mai creare di nuovo te, ciò che eri e che avresti
potuto essere. Tu non rinascerai mai più. Non tornerai mai più. E
continuo a parlarti per pura disperazione.
Sono giorni che te ne stai chiuso lì dentro, senza vivere e senza
andar via. La dottoressa ne è stupita e impaurita.
Posso morire, dice, se non ti tolgo. Lo capisco benissimo e ag-
giungo: non ho alcuna intenzione di punirmi fino a quel pun-
to, servirmi di te per applicare l’autocondanna di quell’assurdo
processo. La durezza del rimpianto mi basta. Allo stesso tempo,
però, non ho alcuna fretta di toglierti e sarebbe difficile indivi-
duarne il motivo.
Forse l’abitudine a stare insieme, addormentarci insieme, sve-
gliarci insieme, sapermi sola senza essere sola?
Forse il sospetto illogico che si tratti di un errore e convenga
attendere ancora? O forse perché tornare ad essere ciò che ero
prima di te non mi interessa più? Avevo tanto agognato di diven-
tar nuovamente padrona della mia sorte. Ora che lo sono, non mi
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