Page 81 - Oriana Fallaci - Lettera a un bambino mai nato
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per bucarlo come allora. Sto sudando. Mi sale la febbre. E arriva-

        to il nostro momento, bambino: il momento di separarci. E non
        lo voglio. Non voglio che ti strappino con il cucchiaio, per gettarti

        nella pattumiera tra il cotone sporco e le garze. Non vorrei. Ma

        non ho scelta. Se non corro alL’ospedale perché ti stacchino da
        queste viscere cui resti aggrappato, mi ammazzi. E questo non

        posso permetterlo.
           Non devo. Tu sbagliavi a dire che non credo alla vita, bambino.

        Io ci credo, invece. Mi piace, anche con le sue infamie, e intendo

        viverla ad ogni costo. Io corro, bambino.
           E ti dico addio con fermezza.




           Sopra di me c’è un soffitto bianco e accanto a me, dentro un
        bicchiere, ci sei tu. Non volevano che ti vedessi ma li ho convin-

        ti affermando che era mio diritto e ti hanno posato lì: con una

        smorfia di disapprovazione.
           Ti guardo, finalmente. E mi sento beffata perché non hai pro-

        prio nulla in comune con il bambino della fotografia.
           Non sei un bambino: sei un uovo. Un uovo grigio che galleggia

        in un alcool rosa e dentro il quale non si scorge nulla. Finisti as-

        sai prima che se ne accorgessero: non arrivasti mai ad avere le
        unghie e la pelle e le infinite ricchezze che io ti regalavo. Crea-

        tura della mia fantasia, riuscisti appena a realizzare il desiderio
        di due mani e due piedi, qualcosa che assomigliava ad un corpo,

        L’abbozzo di un volto con un nasino e due microscopici occhi.

        In fondo amai un pesciolino. E per amore di un pesciolino mi
        inventai un calvario in seguito a cui rischio di finire anch’io. E

        inaccettabile. Ma perché non ti ho fatto togliere prima? Perché

        ho perso tanto tempo prezioso lasciando che tu mi avvelenas-
        si? Sto male, sembrano tutti allarmati. Mi hanno infilato aghi nel

        braccio destro e nel polso sinistro, dagli aghi partono tubi sottili

        che salgono come serpenti fino ai boccioni. L’infermiera si aggira
        con passi d’ovatta. Ogni tanto entra il dottore con un altro dot-

        tore e si scambiano frasi che non capisco ma che suonano come
        minacce. Darei molto perché arrivassero la mia amica o tuo pa-

        dre, meglio ancora i miei genitori: m’era parso di udirne le voci.




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