Page 82 - Oriana Fallaci - Lettera a un bambino mai nato
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Invece non viene nessuno fuorché quei due col camice bianco:

        uno è lo stesso che mi condannò? Un momento fa s’è arrabbiato.
        Ha detto:

           «Raddoppiate la dose!«. La dose di che? Della pena?

           L’ho già scontata, devo ricominciare? Poi ha detto:
           «Svelti, non capite che se ne va?«. Chi se ne va? Un ago, una per-

        sona, la vita? La vita non può andarsene se non si vuole: qui non
        muore nessuno. Nemmeno te, perché sei già morto. Morto senza

        sapere cosa significa essere vivo: senza sapere cosa sono i colori,

        i sapori, gli odori, i suoni, i sentimenti, il pensiero. Mi dispiace:
        per te e per me. Mi umilia. Perché a cosa serve volare come un

        gabbiano dentro l’azzurro se non si generano altri gabbiani che

        ne genereranno altri ancora ed ancora per volare dentro l’azzur-
        ro? A cosa serve giocare come bambini se non si generano altri

        bambini che ne genereranno altri ancora ed ancora per ~giocare

        e divertirsi? Dovevi resistere. Dovevi combattere, vincere. Hai ce-
        duto troppo presto, ti sei rassegnato troppo alla svelta: non eri

        fatto per la vita. Chi si spaventa per un paio di fiabe, per due o tre
        avvertimenti? Eri simile a tuo padre: lui trova comodo riposarsi

        in Dio, tu trovasti comodo riposarti non nascendo. Chi di noi due

        ha tradito? Non io.
           Sono molto stanca, non sento più le gambe, a intervalli mi si

        annebbiano gli occhi e il silenzio m’avvolge come un ronzio di
        vespe. Eppure non cedo, io, guarda. Tengo duro, io, guarda. Sia-

        mo talmente differenti. Non devo addormentarmi.

           Devo stare sveglia e pensare. Se penso, forse, resisto. Da quan-
        do stai in quel bicchiere? Da ore, da giorni, da anni? Magari sono

        giorni e a me sembrano anni: non posso lasciarti ancora in un

        bicchiere. Bisogna che ti sistemi in un posto più dignitoso: ma
        dove? Forse ai piedi della magnolia. Il fatto è che la magnolia è

        lontana: si trova nel tempo in cui anch’io ero piccina. Il presente

        non ha magnolie. Nemmeno la mia casa. Dovrei portarti a casa.
        Al mattino, però. Ora è notte: il soffitto bianco sta diventando

        nero. E fa freddo. Meglio che infili il cappotto per scendere giù.
        Via, andiamo: ti porto. Vorrei tenerti fra le braccia, bambino. Ma

        sei così minuscolo: non posso tenerti fra le braccia. Posso ap-




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