Page 65 - Oriana Fallaci - Lettera a un bambino mai nato
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vinse che non le piaceva accettare i doveri di madre, che la sua

        non era una maternità responsabile. Del resto mi telefonava in
        continuazione, affermando che stava bene e non c’era ragione

        di tenerla a letto, protestando che aveva un lavoro e doveva al-

        zarsi. Il mattino in Cui la rividi era il ritratto dell’infelicità. E, pro-
        prio nel corso di quella visita, si maturarono i miei sospetti che

        costei meditasse un delitto. Anatomicamente e fisiologicamente
        non si spiegava infatti perché la gravidanza fosse così dolorosa:

        gli spasmi potevano avere soltanto un’origine psicologica, cioè

        volontaria. La interrogai. Ammise, laconica, di sentirsi angosciata
        per molte preoccupazioni. Alluse anche a un dispiacere che non

        cercai di chiarire giacchè mi parve ovvio che fosse il dispiacere

        d’essere incinta. Infine le domandai se volesse davvero il bam-
        bino e le spiegai che a volte il pensiero uccide: era necessario

        che mutasse il suo nervosismo in placidità. Con un lampo d’ira

        rispose che sarebbe stato come chiederle di mutare il colore de-
        gli occhi.

           Pochi giorni dopo si presentò di nuovo. Aveva ripreso la vita
        normale e le cose erano peggiorate. La ricoverai in clinica. Qui,

        per otto giorni, la immobilizzai e ottenni il controllo della sua

        psiche attraverso la farmacologia.



           «E siamo al delitto, signori. Ma prima di illustrarvelo, dico: sup-
        poniamo che uno di voi sia gravemente ammalato e abbia biso-

        gno di una medicina. La medicina è a portata di mano, la salvez-

        za consiste nel semplice gesto di qualcuno che ve la porge. Come
        chiamate colui che invece di darvi la medicina la butta via o la

        sostituisce con un veleno? Pazzo, dispettoso, colpevole di omis-

        sione di soccorso? No, troppo poco. Io lo chiamo assassino.
           Signori giurati, non v’è dubbio che il bambino fosse ammalato

        e che la medicina a portata di mano fosse l’immobilità.

           Ma questa donna non solo gliela negò: gli somministrò il ve-
        leno di un viaggio che avrebbe danneggiato una gravidanza più

        facile. Ore e ore in aereo, in automobile, per strade sconnesse,
        luoghi accidentati, da sola.

           Io la scongiurai. Le dimostrai che a quel punto suo figlio non




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