Page 60 - Oriana Fallaci - Lettera a un bambino mai nato
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re così, con le dita tese, senza toccare altre cose. Prima o poi le

        avrei posate in un posto, capisci, e tutto sarebbe svanito come
        svanisce il fumo: per la beffa crudele di un imbecille crudele.

        Strinsi la mano con rabbia. La spalancai di nuovo. Ora sulla pal-

        ma si vedeva appena un arabesco di righe sporche, contorte. E
           guardarle dava un ribrezzo. Per arrivare a questo ribrezzo ave-

        vo tanto sognato, aspettato? Strisciai la palma sulL’armadio.
           Vi rimase un’impronta untuosa come la sbavatura di una luma-

        ca, come la traccia di una lacrima lunga.



           Quando me ne andai, la luna era bianca e illuminava la notte

        di bianco. La fissavi con occhi appannati e concludevi: appena

        esiste una cosa bianca, pulita, c’è sempre qualcuno che la insoz-
        za con i suoi escrementi. Poi ti chiedevi: perché? Ma perché? In

        albergo aprii il rubinetto dell’acqua, ci posai sotto la mano. Ne

        colò un liquido nero che presto scomparve in un vortice nero e
        sai che ti dico, bambino? Tu sei come la mia luna, la mia polvere

        di luna. Gli spasmi sono raddoppiati, non posso più guidare.
           Se trovassi un motel, se potessi fermarmi, riposarmi. Col cer-

        vello più lucido, forse, scoprirei una soluzione per salvare il sal-

        vabile: non buttare via la mia luna. Non voglio perder di nuovo la
        luna, vederla sparire in fondo a un lavabo.

           Ma è inutile. Con la stessa certezza che mi paralizzava la notte
        in cui seppi che esistevi, ora so che stai cessando di esistere.




           Ho interrotto il viaggio. Sono tornata in città e ho telefonato
        alla dottoressa che non ci credeva. Ripeteva sia calma, quindici

        giorni fa tutto andava bene: certo è la sua fantasia. Le ho rispo-

        sto che il sangue non è fantasia, che per una settimana sono sta-
        ta ferma in un motel con il solo risultato di vedere uno stillicidio

        di sangue. Mi ha ordinato di raggiungerla immediatamente. Sulla

        porta sorrideva, col consueto ottimismo. Mi sono spogliata alla
        svelta, prima che me lo dicesse. Mi sono distesa sul lettuccio e

        lei m’ha appoggiato una mano sul cuore. Ha esclamato: «Come
        batte! Fa rumore quanto un tamburo

           «. Non ho risposto né alla sua dolcezza né al suo sorriso.




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