Page 57 - Oriana Fallaci - Lettera a un bambino mai nato
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della Terra non lontano da qui, con piccole navi di ferro, aggan-
ciate sulla cima di un altissimo razzo, e ogni volta che il razzo
schizzava nel cielo, tuonando, seminando fiori di fuoco come una
cometa, la donna era molto felice. Gridava al razzo «Vai, vai, vai!
«. Poi seguiva trepidante e gelosa il viaggio degli uomini che vo-
lavano tre giorni e tre notti, nel buio.
Gli uomini che andavano sulla luna erano uomini sciocchi. Ave-
vano sciocchi volti di pietra e non sapevano ridere, non sapeva-
no piangere. La luna per loro era un’impresa scientifica e basta,
una conquista della tecnologia.
Durante il viaggio non dicevano mai qualcosa di bello! solo nu-
meri e formule e informazioni noiose, se alternavano lampi di
umanità era per chiedere notizie su una squadra di football. Una
volta sbarcati sulla luna sapevano dire ancor meno. Al massimo
pronunciavano due o tre frasi fatte, poi piantavano una bandiera
di latta e con gesti da automi si abbandonavano a un cerimonia-
le di gesti scontati. Ripartivano dopo aver sporcato la luna coi
loro escrementi che Così restavano a testimoniare il passaggio
dell’Uomo. Gli escrementi eran chiusi dentro scatolette, le sca-
tolette venivano lasciate lì con la bandiera, e se lo sapevi non
riuscivi a guardare la luna senza dirti: «Lassù ci sono anche i loro
escrementi «. Infine tornavano pieni di sassi, di polvere. Sassi di
luna, polvere di luna. La polvere che la donna sognava. E riveden-
doli lei elemosinava (io elemosinavo): «Mi dai un poco di luna?
Ne hai tanta!». Ma loro rispondevano sempre: non-si-può-è-
proibito. Tutta la luna finiva nei laboratori, sulle scrivanie dei per-
sonaggi per cui andarci era un’impresa scientifica e basta, una
conquista della tecnologia. Erano uomini sciocchi, perché erano
uomini privi di anima. Eppure ce n’era uno che a me sembrava
migliore. Infatti sapeva ridere e piangere. Era un omino brutto,
coi denti radi e una gran paura addosso. Per nascondere quella
paura rideva e portava buffi cappelli che gli regalavano un po’
di anima, ecco. Io gli ero amica per questo e perché sapeva di
non meritare la luna. Incontrandomi brontolava: «Cosa dirò las-
sù? Io non sono un poeta, non so dire cose belle e profonde «.
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