Page 58 - Oriana Fallaci - Lettera a un bambino mai nato
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Pochi giorni prima di andar sulla luna venne da me, per salutar-

        mi e chiedermi cosa dire sulla luna.
           Gli risposi che doveva dire qualcosa di vero, qualcosa di one-

        sto, ad esempio che era un omino colmo di paura perché era un

        omino. Ciò gli piacque e giurò: «Se torno ti porto un poco di luna.
        Polvere di luna «. Partì e tornò.

           Ma tornò cambiato. Se gli telefonavo per ricordargli la promes-
        sa, rispondeva evasivo. Poi, una sera, mi invitò a cena nella sua

        casa e io mi precipitai credendo che volesse darmi finalmente la

        luna. A tavola ero inquieta, la cena non finiva mai. Quando finì,
        lui disse: «Ora ti faccio vedere la luna «. Non disse «ora ti do la

        luna «Disse «ora ti faccio vedere la luna «. Ma io non notai la

        differenza.
           Portava ancora quei buffi cappelli, rideva ancora quelle buffe

        risate, non sospettavo che in cielo avesse perduto anche il goc-

        cio d’anima che gli attribuivo.



           Mi accompagnò nel suo studio, ammiccando. Aprì un armadio
        chiuso a chiave, giocando. Dentro l’armadio c’erano alcuni ogget-

        ti: una specie di vanga, una specie di zappa, un tubo. Tutti coperti

        da una polvere strana, color grigio argento. La polvere di luna. Il
        mio cuore prese a battere forte. Col cuore che batteva forte allun-

        gai una mano, agguantai delicatamente la vanga. Era una vanga
        leggera, quasi priva di peso, e la polvere era una specie di cipria,

        un velo d’argento che sulla pelle restava come una seconda pel-

        le d’argento, e non saprei dirti cosa provai a vedere la luna sulla
        mia pelle. Forse la sensazione di espandermi nel tempo e nello

        spazio, o di raggiungere l’irraggiungibile, l’idea stessa dell’infini-

        to. Cose che penso ora, però. In quel momento non potevo pen-
        sare. Anche ora che cerco, frugando nel ricordo della coscienza,

        riesco a dirti soltanto che me ne stavo lì sbalordita, tenendo in

        mano la vanga, e non mi accorgevo nemmeno che lui diventa-
        va impaziente: quasi temesse di vedersi rubare un tesoro di cui

        non era disposto a conceder nemmeno il ricordo. Quando me ne
        accorsi, glielo restituii e sussurrai: «Grazie. Ora dammi il fagot-

        tino di luna ». Divenne subito duro: «Che luna?«. «La polvere di




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