Page 59 - Oriana Fallaci - Lettera a un bambino mai nato
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luna che mi hai promesso«. «L’hai appena avuta. Te l’ho lasciata

        toccare«. Credevo che scherzasse. Impiegai minuti più lunghi di
        anni per rendermi conto che non scherzava, che la sua promessa

        s’era esaurita nell’atto di lasciarmi toccare la vanga. Proprio quel

        che si fa coi poveri quando gli si consente di ammirare un gio-
        iello in vetrina o di guardar da lontano una festa cui non devono

        partecipare. Nella sorpresa, il dolore, non riuscivo neanche a rin-
        facciargli l’imbroglio, rimproverargli tanta meschinità. Mi ripete-

        vo soltanto: se riuscissi a convincerlo che ciò è troppo malvagio.

        E in questa pazza speranza cominciai a supplicarlo, spiegargli
        che non gli chiedevo un pezzetto di luna, gli chiedevo soltanto la

        polvere di luna che mi aveva promesso, pochina, ne aveva tanta

        dentro l’armadio, ogni oggetto ne era coperto, bastava che mi
        permettesse di raccoglierne un po’ sopra un foglio; su qualcosa

        che non fosse la mia pelle, per guardarla di nuovo negli anni a

        venire, era sempre stato un desiderio per me, lo sapeva, non un
        capriccio. Ma, più mi umiliavo, più lui diventava duro. Mi fissava

        con gelidi occhi e taceva. Infine, tacendo, richiuse l’armadio ed
        uscì dalla stanza. Dal salotto sua moglie chiedeva se volevamo il

        caffè. Si serviva il caffè.



           Non risposi. Me ne rimasi ferma a guardar la mia mano coper-

        ta di luna. Avevo la luna in mano e non sapevo dove appoggiar-
        la, come conservarla. Al minimo contatto sarebbe sparita. Il mio

        cervello cercava invano una soluzione, uno stratagemma che of-

        frisse la via di salvare il salvabile, ma trovava solo una nebbia,
        e dentro la nebbia una frase: «Sarebbe come toglier la cipria.

        Ovunque la spalmi è perduta «. Ed era questo il tormento più

        grande, la sevizia che Tantalo non aveva mai conosciuto. Tantalo
        si vedeva sfuggire il frutto nell’attimo in cui stava per afferrarlo,

        non se lo vedeva svanire dopo averlo afferrato.

           Poi detti un’ultima occhiata alla mia mano d’argento, spalan-
        cata in un gesto di supplica assurda, inghiottii un desiderio di

        lacrime, sorrisi con amarezza. Da lontananze infinite la luna era
        giunta a me, s’era posata sulla mia pelle, ed io mi accingevo a

        buttarla via. Per sempre. Anche volendo non avrei potuto resta-




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