Page 49 - Oriana Fallaci - Lettera a un bambino mai nato
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piccino e indifeso e alla mercé di ogni mio capriccio, ogni mia

        irresponsabilità. Non era nemmeno rossa, la macchia. Era rosa,
        d’un pallido rosa. E tuttavia era più che sufficiente a trasmet-

        termi il messaggio, ad annunciarmi che stavi forse finendo. Ho

        agguantato il cuscino e son corsa. Il medico è stato inaspettata-
        mente gentile.

           Mi ha ricevuto sebbene fosse sera, mi ha detto di calmarmi: non
        stavi morendo, non t’eri staccato, avevi sofferto e basta, si tratta-

        va di una minaccia e basta, il riposo assoluto avrebbe sistemato

        ogni cosa, purché fosse assoluto, purché non scendessi dal letto
        nemmeno per andare nel bagno, e per questo era meglio che mi

        ricoverassi in ospedale. Siamo all’ospedale. Una camera triste di

        questo mondo triste. Ci siamo da una settimana che ho trascorso
        quasi sempre dormendo, obnubilata dai sedativi.

           Ora li hanno sospesi ma è peggio: non so come impiegare il

        tempo che gocciola vuoto. Ho chiesto i giornali e non me li han-
        no portati. Ho chiesto una televisione e me l’hanno negata. Ho

        chiesto un telefono e non funziona. La mia amica non viene. Tuo
        padre nemmeno.

           Il silenzio mi abbrutisce e mi schiaccia. Prigioniera d’una belva

        vestita di bianco che ogni tanto arriva con un’iniezione di luteina
        e mi buca con scherno, non riesco nemmeno a tentar di trasmet-

        terti un po’ di tenerezza. Ma riflessioni a lungo sopite, invano sof-
        focate, salgono alla superficie della mia coscienza e gridano cose

        che non sapevo di sapere. Queste. Perché dovrei sopportare una

        tale agonia? In nome di cosa? Di un reato commesso abbraccian-
        do un uomo? Di una cellula scissa in due cellule e poi in quattro

        cellule e poi in otto cellule, all’infinito, senza che io lo volessi,

        senza che io lo ordinassi? Oppure in nome della vita? E va bene,
        la vita. Ma cos’è questa vita per cui tu, che esisti non ancora fat-

        to, conti più di me che esisto già fatta? Cos’è questo rispetto per

        te che toglie rispetto a me? Cos’è questo tuo diritto ad esistere
        che non tiene conto del mio diritto ad esistere? Non c’è umanità

        in te.    Umanità! Ma sei un essere umano, tu?
           Bastano davvero una bollicina d’uovo e uno spermio di cinque

        micron a fare un essere umano? Essere umano son io che pen-




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