Page 48 - Oriana Fallaci - Lettera a un bambino mai nato
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al colore. Ovviamente desidera che tu sia maschio: nascere ma-

        schio per lui è un merito maggiore, un segno di superiorità. Po-
        veretto. Non è colpa sua, hanno raccontato anche a lui che Dio

        è un vecchio con la barba bianca, che Maria era un’incubatrice,

        che senza Giuseppe non avrebbe trovato nemmeno una stalla,
        che ad accendere il fuoco fu Prometeo. Io non lo disprezzo per

        questo. Tuttavia dico che non ho, non abbiamo necessità di lui.
        Né della sua rosa blu. Gli ho ordinato di andarsene, di lasciarci

        in pace. Ha barcollato come per una legnata, s’è avviato verso la

        porta, se n’è andato senza rispondere. Tra poco ce ne andiamo
        anche noi: a lavorare. Il commendatore mi ha ricordato la sua

        comprensione però ha aggiunto che bisogna rispettare gli impe-

        gni: una donna incinta può lasciare l’impiego solo al sesto mese.
        Mi ha ricordato anche il viaggio: minacciando con perfido garbo

        di trasferire l’incarico a un uomo perché a-un-uomo-non-acca-

        dono-certi-incidenti.
           Ho frenato a stento la tentazione di aggredirlo, e mi son messa

        a tergiversare. I prossimi dieci giorni saranno duri, devo guada-
        gnare il tempo perduto.

           Ma ti dirò: L’idea di riprendere le mie attività mi scuote da que-

        sto torpore, da questa rassegnazione che mi fa sognare la morte.
        Menomale che è già incominciato l’inverno: sotto il cappotto il

        ventre gonfio non si noterà. E, d’ora innanzi, crescerà parecchio.
        Stamani ad esempio è più gonfio. Il vestito mi tira. A quattordici

        settimane, sai quanto sei lungo? Almeno dieci centimetri.

           Perfino la placenta, ormai troppo piccola per avviluppare il sac-
        co amniotico, sta tirandosi da parte. E tu stai invadendomi senza

        pietà.



           Non sono una persona che si spaventa alla vista del sangue.

        Ed essere donne è una scuola di sangue: tutti i mesi offriamo a

        noi stesse il suo spettacolo odioso. Ma quando ho visto quella
        minuscola macchia sopra il cuscino, i miei occhi si sono anneb-

        biati e le mie gambe si sono piegate. M’ha invaso il panico, poi la
        disperazione, e mi son maledetta. Mi sono accusata di ogni colpa

        verso di te che non potevi proteggerti, non potevi ribellarti, così




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