Page 42 - Oriana Fallaci - Lettera a un bambino mai nato
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scelta e senza convinzione.

           Lui è rimasto zitto e fermo: un’ombra alta e scura contro il bian-
        co della parete. Però non guardava me.

           Guardava la tua fotografia sul muro: quella che ti ritrae a due

        mesi, ingrandito quaranta volte. Avresti detto che non riusciva a
        staccare gli occhi dai tuoi occhi, e più ti guardava più gli si affon-

        dava la testa dentro le spalle.
           Infine si è coperto il viso con le mani ed è scoppiato in un pian-

        to. Leggermente all’inizio, senza far rumore. Più forte dopo. S’è

        anche seduto sul letto per piangere meglio, e a ciascun singhioz-
        zo il letto si scuoteva: ho pensato che ciò ti disturbasse. Gli ho

        detto: «Stai scuotendo il letto. Le vibrazioni lo disturbano«. Lui

        ha staccato le mani dal viso, si è asciugato col fazzoletto ed è
        andato a sedersi su una sedia. Quella sotto la tua fotografia. Era

        strano vedervi accanto. Tu con le tue pupille ferme, misteriose,

        lui con le sue pupille tremule, senza segreti. Poi ha schiuso le
        labbra ed ha detto: «E anche mio.



           L’ira mi ha travolto. Sono balzata a sedere sul letto e gli ho gri-

        dato che non eri né mio né suo: eri tuo. Gli ho gridato che dete-

        stavo questa retorica da melodramma, questa melensaggine da
        canzonette, e dovevo stare tranquilla, l’aveva ordinato il dottore,

        cos’era venuto a fare, ad ucciderti senza aborto perché rispar-
        miassi denaro?

           Ho anche sbattuto il mazzo di fiori sul tavolino: tre, quattro vol-

        te, finché le corolle si sono staccate volando in aria come corian-
        doli. Quando son ricaduta sopra i guanciali ero così sudata che il

        pigiama mi aderiva alla pelle, e il dolore al ventre era così forte

        che non lo sopportavo. Lui non s’è mosso, invece. Ha chinato la
        testa e ha sussurrato: «Quanto sei dura, quanto puoi esser catti-

        va «. Poi s’è abbandonato a una specie di interminabile arringa

        centrata sul fatto che sbagliavo, che eri mio e suo, che ci aveva
        tanto riflettuto, tanto sofferto, che da due mesi si dilaniava per

        te, che infine aveva capito quanto la mia scelta fosse nobile e
        giusta, che un figlio non si dovrebbe mai buttare via perché un

        figlio è un figlio non una cosa. Poi altre banalità. Infatti l’ho inter-




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