Page 29 - Oriana Fallaci - Lettera a un bambino mai nato
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reagire lottando, morendo. Le leggi della brava gente, invece, non

        t’offrono scampo perché ti si convince che è nobile accettarle. In
        qualsiasi sistema tu viva, non puoi ribellarti alla legge che a vin-

        cere è sempre il più forte, il più prepotente, il meno generoso.

        Tantomeno puoi ribellarti alla legge che per mangiare ci vuole il
        denaro, per dormire ci vuole il denaro, per camminare dentro un

        paio di scarpe ci vuole il denaro, per riscaldarsi d’inverno ci vuo-
        le il denaro, che per avere il denaro bisogna lavorare. Ti raccon-

        teranno un mucchio di storie sulla necessità del lavoro, la gioia

        del lavoro, la dignità del lavoro. Non ci credere, mai. Si tratta di
        un’altra menzogna inventata per la convenienza di chi organizzò

        questo mondo. Il lavoro è un ricatto che rimane tale anche quan-

        do ti piace. Lavori sempre per qualcuno, mai per te stesso. Lavori
        sempre con fatica, mai con gioia. E mai nel momento in cui ne

        avresti voglia. Anche se non dipendi da nessuno e coltivi il tuo

        pezzo di terra, devi zappare quando vogliono il sole e la pioggia
        e le stagioni. Anche se non ubbidisci a nessuno e il tuo lavoro è

        arte cioè liberazione, devi piegarti alle altrui esigenze o sopru-
        si. Forse in un passato molto lontano, tanto lontano che se ne è

        smarrito il ricordo, non era così. E lavorare era una festa, un’al-

        legria. Ma esistevano poche persone a quel tempo, e potevano
        starsene sole. Tu vieni al mondo dopo millenovecentosettanta-

        cinque anni la nascita di un uomo che chiamano Cristo il quale
        venne al mondo centinaia di migliaia di anni dopo un altro uomo

        di cui si ignora il nome, e di questi tempi le cose vanno come

        t’ho detto. Una recente statistica afferma che siamo già quattro
        miliardi. In quel mucchio entrerai. E quanto rimpiangerai il tuo

        sguazzare solitario nell’acqua, bambino!



           Ti ho scritto tre fiabe. O meglio, non le ho proprio scritte per-

        ché stando distesa a letto non posso: le ho semplicemente pen-

        sate. Te ne racconto una. C’era una volta una bambina innamo-
        rata di una magnolia. La magnolia stava in mezzo a un giardino

        e la bambina passava giornate intere a guardarla. La guardava
        dall’alto perché abitava all’ultimo piano di una casa affacciata

        su quel giardino, e la guardava da una finestra che era la sola




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