Page 20 - Oriana Fallaci - Lettera a un bambino mai nato
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mi tenessero sveglia gracidando la notte. Il sistema era semplice:

        bastava sollevare i nastri con un bastone e posarli sull’erba del
        prato dove il sole li avrebbe soffocati, seccati. Ma i nastri sgu-

        sciavano via, scivolosi, in svelte volute che ricadevano nell’acqua

        e affondavano dentro il limo: non riuscivo a posarli sul prato. Poi
        tuo padre non ha pianto più e s’è messo ad aiutarmi: riuscendoci

        senza difficoltà. Con un ramo d’albero tirava su dall’acqua quei
        nastri che a lui non scivolavano via, li ammucchiava sull’erba.

        Metodico, calmo. E io ne soffrivo. Perché era come vedere decine,

        centinaia di bambini che soffocavano e seccavano al sole. Scon-
        volta, gli ho tolto il ramo dalle mani e ho gridato: «Lasciali stare!

           Tu sei nato, no? «. Nell’altro incubo c’era un canguro. Era un

        canguro femmina, dal suo utero è uscita una cosa tenera e viva:
        una specie di delicatissimo verme. S’è guardato intorno sbalor-

        dito, quasi a tentar di capire dove fosse~

           ed ha preso ad arrampicarsi su per il corpo peloso. Procede-
        va lentamente, faticosamente, inciampando, sdrucciolando, sba-

        gliando, ma alla fine ha raggiunto la sacca e con un ultimo sforzo
        tremendo ci si è buttato dentro a capofitto. Io mi rendevo conto

        che non eri te, che era l’embrione del canguro il quale nasce così

        perché esce presto dalla prigione dell’uovo e completa la sua
        formazione all’aperto Però gli parlavo come se si fosse trattato

        di te. Lo ringraziavo per esser venuto a mostrarmi di non essere
        una cosa ma una persona. Gli dicevo che ora non eravamo più

        due estranei, due sconosciuti, e ridevo felice. Ridevo... Ma è arri-

        vata la nonna. Era molto vecchia, e molto triste. Sulle sue spalle
        curve sembrava che stagnasse tutto il peso del mondo. Tra le

        mani sciupate teneva un bambolottino con gli occhi chiusi e la

        testa sproporzionata. Diceva: «Sono tanto stanca.
           Sto pagando per gli aborti. Io ho avuto otto figli e otto aborti.

        Se fossi stata ricca avrei avuto sedici figli e nemmeno un aborto.

        Non è vero che ci si fa l’abitudine, ogni volta è la prima volta. Ma
        questo il prete non lo capiva « Il bambolottino era grande come

        un crocifisso, di quelli che si portano in tasca. Levandolo come
        un crocifisso, la nonna è entrata in una chiesa dove s’è inginoc-

        chiata a un confessionale e ha incominciato a bisbigliare qualco-




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