Page 19 - Oriana Fallaci - Lettera a un bambino mai nato
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tuo uovo c’è un universo, perché non dovrebbe esserci anche il

        pensiero? Non insinuano che il subcosciente sia il ricordo dell’e-
        sistenza vissuta prima di venire alla luce? Lo è? Allora dimmi, tu

        che sai tutto: quando incomincia la vita? Dimmi, ti supplico: è

        davvero incominciata la tua? Da quanto? Dal momento in cui la
        stilla di luce che chiamano spermio bucò e scisse la cellula? Dal

        momento in cui ti sbocciò un cuore e prese a pompar sangue?
        Dal momento in cui ti fiorì un cervello, un midollo spinale, e ti

        avviasti ad assumere una forma umana? Oppure quel momento

        deve ancora venire e sei solo un motore in fabbricazione? Cosa
        darei, bambino, per rompere il tuo mutismo, penetrare nella pri-

        gione che ti avvolge e che avvolgo, cosa darei per vederti, ascol-

        tare la tua risposta!



           Certo siamo una ben strana coppia, io e te. Tutto in te dipende

        da me e tutto in me dipende da te: se tu ti ammali io mi amma-
        lo, se io muoio tu muori. Però io non posso comunicare con te e

        tu non puoi comunicare con me. In quella che è forse la tua sa-
        pienza infinita, non conosci nemmeno la faccia che ho, l’età che

        ho, la lingua che parlo. Ignori da dove vengo, dove mi trovo, cosa

        faccio nella vita. Se tu volessi immaginarmi, non avresti nean-
        che un elemento per indovinare se sono bianca o nera, giovane

        o vecchia, alta o bassa. Ed io mi chiedo ancora se sei o no una
        persona. Mai due estranei legati allo stesso destino furono più

        estranei di noi. Mai due sconosciuti uniti nello stesso corpo furo-

        no più sconosciuti, più lontani di noi.



           Ho dormito male e avevo dolori giù in fondo al ventre: eri tu? Mi

        giravo angosciata nel letto, il sonno era un’ossessione di incubi
        assurdi. In uno c’era tuo padre, e piangeva. Non lo avevo visto

        piangere mai, non credevo che ne fosse capace. Le sue lacrime

        cadevano in tonfi di piombo nella vasca del mio giardino e la va-
        sca era piena di nastri interminabili e gelatinosi. Dentro i nastri

        c’erano piccole uova nere che si allungavano in una specie di
        coda: i girini. Io non badavo a tuo padre, mi preoccupavo soltan-

        to di ammazzare i girini perché non diventassero ranocchi e non




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