Page 11 - Oriana Fallaci - Lettera a un bambino mai nato
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voce ha smesso d’essere roca per diventare stridula:

           «Parlo di denaro». «Che denaro?» ho replicato.
           «Il denaro per disfarsene, no?» Sì, ha detto proprio «disfar-

        sene». Neanche tu fossi un fagotto. E quando, più serenamente

        possibile, gli ho spiegato che avevo tutt’altra intenzione, s’è per-
        duto in un lungo ragionamento dove le preghiere si alternava-

        no ai consigli, i consigli alle minacce, le minacce alle lusinghe.
        «Pensa alla tua carriera, considera le responsabilità, un giorno

        potresti pentirtene, cosa diranno gli altri.» Deve aver speso una

        fortuna in quella telefonata. Ogni tanto la centralinista interve-
        niva con voce sorpresa e chiedeva: «Continua?».

           Io sorridevo, quasi divertita. Però mi sono divertita assai meno

        quando, incoraggiato dal fatto che ascoltassi zitta, ha concluso
        che la spesa potevamo sostenerla a metà: dopotutto eravamo

        «colpevoli entrambi». Mi ha colto la nausea. Mi sono vergognata

        per lui. E ho abbassato il ricevitore pensando che un tempo lo
        amavo.

           Lo amavo? Un giorno io e te dovremo discutere un poco su
        questa faccenda chiamata amore. Perché, onestamente, non ho

        ancora capito di cosa si tratti. Il mio sospetto è che si tratti di

        un imbroglio gigantesco, inventato per tener buona la gente e
        distrarla. Di amore parlano i preti, i cartelloni pubblicitari, i let-

        terati, i politici, coloro che fanno all’amore, e parlando di amore,
        presentandolo come toccasana di ogni tragedia, feriscono e tra-

        discono e ammazzano l’anima e il corpo. Io la odio questa parola

        che è ovunque e in tutte le lingue.
           Amo-camminare, amo-bere, amo-fumare, amo-la-libertà, amo-

        il-mio-amante, amo-mio-figlio. Io cerco di non usarla mai, di non

        chiedermi nemmeno se ciò che turba la mia mente e il mio cuore
        è la cosa che chiamano amore. Infatti non so se ti amo. Non pen-

        so a te in termini di amore. Penso a te in termini di vita. E tuo pa-

        dre, guarda: più ci penso, più credo di non averlo mai amato. L’ho
        ammirato, l’ho desiderato, ma amato no. Così coloro che vennero

        prima di lui, fantasmi deludenti di una ricerca sempre fallita. Fal-
        lita? A qualcosa servì, dopotutto: a capire che nulla minaccia la

        tua libertà quanto il misterioso trasporto che una creatura prova




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