Page 120 - Oriana Fallaci - Intervista con se stessa. L'Apocalisse.
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in avanti perché gliela facessi davvero. Allora il leone smise di
ruggire, s'accucciò, sbadigliò con l'aria di borbottare siete-
proprio-scemi, e piano piano raggiungemmo il cancello. Me ne
andai pensando che per trattarci così Sua Maestà doveva avere
una gran paura della morte. Io no. Non ce l'ho. La conosco
troppo bene. La conosco fin da bambina, quando correvo sotto
le bombe della Seconda Guerra Mondiale e scavalcavo i corpi
della gente che non aveva corso abbastanza. La conosco perché
l'ho frequentata troppo, ahimè. In troppi luoghi e in troppe
maniere. Al Messico, per esempio, quando m'accadde quel che
si sa. In Vietnam, in Cambogia, in Bangladesh, in Giordania, in
Libano, quando facevo il corrispondente di guerra e mi trovavo
sempre in qualche combattimento o in altre situazioni
terrorizzanti. Nel mio cuore, quando ammazzarono Alekos
Panagulis e quando il cancro si portò via mia madre poi mio
padre poi mia sorella Neèra nonché lo zio Bruno. Infine ora,
grazie alla malattia e a coloro cui avermi criminalizzato anzi
demonizzato non basta. Voglio dire: a forza di frequentarla,
sentirmela attorno e addosso, con lei ho maturato una strana
dimestichezza. E l'idea di morire non mi fa paura.
Sul serio?
Sul serio. Non dico bugie. Sono troppo orgogliosa per dire
bugie. Del resto, che ci sarebbe di indegno, di degradante, ad
ammettere che la Morte mi spaventa come spaventava Hailé
Selassié? Glielo confesso con serenità: al posto della paura io
sento una specie di malinconia, una specie di dispiacere che
offusca perfino il mio senso dell'umorismo. Mi dispiace morire,
sì. E non dimentico mai ciò che Anna Magnani mi disse tanti
anni fa: «Oriana mia!
Non è giusto morire, visto che siamo nati!». Non dimentico
nemmeno che quell'ingiustizia è toccata a miliardi e miliardi di
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