Page 119 - Oriana Fallaci - Intervista con se stessa. L'Apocalisse.
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vischiosa tela di ragno c'è anche quel laccio. Un laccio per cui
                devo sempre guardarmi alle spalle, diffidare d'ogni ombra e

                d'ogni rumore, essere protetta e tenere il fucile carico accanto al
                letto. Ma se duro, lo concluderò il mio-bambino. Lo partorirò. E

                mi creda: se morirò un istante dopo aver scritto l'ultima pagina,
                morirò felice.



                Ciò mi aiuta a porre la domanda finale. Una domanda molto

                difficile. Brutale e difficile.


                Coraggio, la ponga. Le fa paura la morte?



                Non è una domanda brutale, non è una domanda difficile. Io l'ho

                posta tante volte agli altri. Per esempio ad Hailé Selassié,
                l'imperatore d'Etiopia, quando lo intervistai nella sua reggia di

                Addis Abeba. Povero Hailé Selassié. Era vecchissimo, ormai, e
                s'arrabbiò come una belva. «Quelle mort, che morte, quelle

                mors?» strillava. A udirlo strillare i suoi cagnolini, tre
                chihuahua che teneva sulle ginocchia, mi saltarono addosso e al

                fotografo morsero addirittura un polpaccio. Poi, urlando
                «Partez-fuori-partez», Sua Maestà ci cacciò via. Ci fece

                scaraventare dalle guardie nel parco attiguo alla sala del trono, e
                Gesù. C'era un leone, nel parco. Il leone più grosso che avessi

                mai visto. E ruggiva. Bè, lo scoprimmo l'indomani che era un

                leone mansueto.


                Che passava le giornate a nutrirsi di bistecche, che la gente non

                la mangiava mai. In quel momento non lo sapevamo e
                tremavamo come foglie al vento.



                «Ora che si fa, dove si va?» balbettava il fotografo.



                «Vagli incontro, prova a fargli una carezza sul muso» gli
                rispondevo con voce strozzata. «Vacci tu, fagliela tu la carezza

                sul muso» replicava lui inviperito. E a un certo punto mi spinse


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