Page 73 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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Mio padre era affezionato a un anticlericalismo esteriore, sa,
quello di cui oggi non siamo più capaci e che non usa più. Però
in chiesa, una volta l'anno, ci andava: per Natale. Scelsi
l'Università Cattolica perché credevo profondamente: sono stata
cattolica con profonda sincerità ed estrema serietà.
I miei dubbi cominciarono proprio all'Università Cattolica:
mentre studiavo dottrina e morale cattolica. Sa, tutti gli anni
avevamo gli esercizi spirituali, otto giorni di ritiro durante i
quali ci si chiudeva in preghiera, si ascoltavano prediche, si
discuteva col sacerdote. Fu al terzo anno che esposi i miei
dubbi: al sacerdote. E fu un conflitto drammatico: la religione
non è solo ragione, è anche sentimento, e quando la ragione si
rifiuta di credere comincia il conflitto drammatico dei
sentimenti. Avevo solo vent'anni.
Così smise? Lasciò l'Università Cattolica?
No, continuai ad andare alla Messa, a frequentare l'università.
Ma solo col sentimento, non con la convinzione profonda che
fino allora mi aveva sorretto. Insomma mi ritrovai con una
laurea in mano e una grande incertezza nel cuore. Oltretutto
c'era la guerra, tutto andava a pezzi, il mio travaglio spirituale
non ne poteva riuscire alleviato. E un po'"per alleviarlo, un
po'"per capire, mi avvicinai a qualche gruppo antifascista, ma
gente qualsiasi: un avvocato, un professore di scuola media,
comunisti o tipi che si dicevano tali. Ma non ebbero
un'influenza definitiva su me. È più esatto dire che l'influenza
l'ebbero altre ragioni: più sentimentali. Quel dover lavorare,
vivere con duecentottanta lire al mese. Detto così sembra un
luogo comune: ma è duro portare lo stesso cappotto ricavato da
un cappotto del padre per otto anni, dai quindici ai ventitré.
Io credevo che il suo comunismo avesse un'altra natura
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