Page 346 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
P. 346

Sì,  nel  dopoguerra  siamo  diventati  comunisti  quasi
                contemporaneamente, noi due, e per due anni lavorammo nella

                stessa  stanza  alla  casa  editrice  Einaudi,  Avevamo  i  tavoli  di
                fronte  e  io  lo  vedevo  scrivere:  scriveva,  cancellava,  si

                attorcigliava i capelli... Pavese era molto amico di Ginzburg e si
                appoggiava a lui come un figlio al padre piuttosto che come un

                amico a un amico. Era uno strano amico, Pavese. Affettuoso ma

                in fondo gli importavano soltanto le donne di cui si innamorava
                e  i  libri  che  scriveva.  Si  innamorava  sempre  e  sceglieva

                accuratamente  le  donne  che  lo  avrebbero  piantato  o  reso
                infelice, quelle dure autoritarie crudeli: ecco la verità.



                Una buona remissiva tranquilla lui non se la sceglieva: ecco la
                verità. E così, dopo ogni delusione, parlava di ammazzarsi. Io lo

                conobbi,  ragazzo,  che  usciva  da  una  delusione  amorosa,  e
                parlava  di  ammazzarsi.  Discuteva  perfino  i  vari  modi  di

                ammazzarsi: la pistola, il gas, il veleno. Tra ironico e scherzoso,
                ma ne discuteva. Gli sembrava che non sarebbe mai riuscito a

                pigliarsi una moglie e quando gli sembrò di non poter nemmeno

                più  scrivere,  di  aver  detto  tutto,  e  si  trovò  in  quella  Torino
                deserta,  senza  amici,  era  estate  ed  eravamo  tutti  lontani,  e

                quell'americana che aveva sognato di sposare se n'era tornata in
                America,  si  ammazzò.  Avremmo  tutti  voluto  far  qualcosa  per

                lui ma era difficile, ecco. Non voleva essere aiutato, respingeva
                ogni  manifestazione  di  affetto.  E  dire  che  Leone  non  credeva

                che Pavese si uccidesse.


                Signora Ginzburg, mi legga quella poesia su Leone, per piacere.



                La poesia... ecco... Va bene... «Gli uomini vanno e vengono per

                le  strade  della  città.  /  Comprano  cibi  e  giornali,  muovono  a
                imprese diverse. / Hanno roseo il viso, le labbra vivide e piene. /

                Sollevasti  il  lenzuolo  per  guardare  il  suo  viso,  /  ti  chinasti  a
                baciarlo con un gesto consueto. / Ma era l'ultima volta. Era il




                                                          346
   341   342   343   344   345   346   347   348   349   350   351