Page 345 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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si facesse a scrivere avendo dei figli».
Sì ma sbagliavo. Sì ma poi spiego che si scrive lo stesso. Io per
esempio il primo anno che avevo Carlo avevo sempre paura che
mi morisse sebbene fosse un bambino floridissimo: e quindi non
c'era spazio per scrivere, c'era spazio solo per questo rapporto
fra lui e me. Non potevo lasciarlo nemmeno col pensiero. Poi,
poi niente. Poi a poco a poco ho capito che si poteva scrivere lo
stesso, bastava trovar l'equilibrio, capisce, trovare requie e
spazio negli affetti, capisce. Insomma se uno ha davvero
necessità di scrivere, scrive lo stesso. E dire io non mi sposo, io
non faccio bambini perché voglio scrivere è sbagliatissimo:
creda. Uno non si deve privare della vita sennò a un certo punto
si inaridisce e non scrive più niente, lo ricordi.
Lo ricorderò. E ora mi dica, signora Ginzburg. Ma come fa una
donna come lei a frequentare quel partito che si chiama mondo
letterario? Come fa a tollerarne le chiacchiere, il divismo, le
mondanità, i cenacoli da caffè, i premì letterati sbagliati, i
parassiti e le parassite che ci vivono intorno? A Torino,
almeno...
I letterati, sa, bisogna frequentarli uno per volta: mai tutti
insieme, come ambiente. Come ambiente è spiacevole: come
tutti gli ambienti, del resto, Come amici separati invece possono
essere carissimi. Roma, ecco, offre questo vantaggio: che, se si
vuole, si può star soli. Torino invece no. A Torino, né grande né
piccola, si sbatteva sempre il naso nella gente: ne venni via
addolorata e sollevata, ecco. C'era un po'"di mancanza d'aria, a
Torino.
Non c'era più Pavese.
Anche Pavese era morto. Lei conosceva molto bene Pavese.
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