Page 339 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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perché da quanto ho potuto ricostruire è morto d'infarto. Era
stato molto picchiato e non gli ha retto il cuore: ecco. La morte
di Leone... è andata così. Venne l'8 settembre e Leone mi scrisse
di andare all'Aquila dove c'era uno bravo che nascondeva gli
ebrei, oppure di raggiungerlo a Roma.
Scelsi Roma e partii coi bambini e le valige su un camion di
tedeschi cui avevano detto che ero una sfollata di Napoli e
avevo perso i documenti nel bombardamento. I bambini
avevano quattro anni, tre anni, e la più piccola pochi mesi.
Leone aveva un alloggio nel viale delle Province e qui
restammo gli ultimi venti giorni della sua libertà. Dicevamo
d'essere fratello e sorella, per via delle carte annonarie che erano
false e intestate a nomi diversi. Leone diceva ai bambini di
chiamarlo zio, non papa. Poi, poi niente. Usciva spesso e
quando usciva io mi sentivo perduta. Ricordo il giorno che
avevo fatto il bucato: appesi i panni e non avevo mollette per
stringerli al filo, il vento li portò via, volarono giù nel cortile, io
cercavo di recuperarli, giù nel cortile, e mi sentivo perduta. E
poi un giorno si ammalò, aveva la febbre e si mise a letto.
E poi un giorno si alzò, disse: «Devo andare», e andò, e lo
arrestarono. Alla tipografia clandestina.
In via Basente L'agonia spaventosa di quella giornata. Torna,
non torna. A un certo punto suonò il telefono, qualcuno disse:
«Signora Ginzburg!», e subito riattaccò. Mi chiedo ancora chi
fosse. E
poi, poi niente. All'alba venne Adriano Olivetti per dirmi sì,
l'hanno arrestato, e nascondermi con altri ebrei in un convento.
Era un convento di monache e vi accadevano cose strane: a
volte, all'ora del coprifuoco, le monache dicevano: «Stasera
vengono i tedeschi». Io scappavo ma non avevo paura.
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