Page 336 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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quaranta  minuti,  tutti  mi  fissavano  delusi,  una  sensazione  di
                gelo e insomma capii che non era il mio mestiere, ecco. Quando

                voto, ora, voto socialista ma per amore del socialismo: e non so
                mai per quale uomo votare, devo sempre chiedere i nomi ai miei

                figli. Di Turati ricordo solo quello che ho scritto, quest'ombra
                grande  come  l'ombra  di  un  orso  che  era  nascosto  da  noi  e  si

                rifugiava in una stanza quando suonava il campanello. Di Carlo

                Rosselli ricordo soltanto la chioma folta e la faccia ridente. Di
                Nello,  di  lui  molto  di  più:  ecco.  Veniva  sempre  a  Forte  dei

                Marmi,  i  suoi  bambini  stavano  sempre  coi  bambini  di  mia
                sorella Paola. L'ultima estate che lo vidi, la sua ultima estate,

                stava  sempre  con  un  cagnolino  e  quando  leggemmo  che  lo
                avevano  ammazzato,  io  e  mia  madre...  Era  primavera,  mia

                madre ed io leggevamo il giornale sul balcone della nostra casa
                a  Torino,  la  notizia  era  piccola:  «I  fratelli  Rosselli  uccisi  a

                Bagnoledel'Orne». Deve sapere che Carlo era quello che aveva
                messo in contatto mio fratello Mario con Leone Ginzburg e poi,

                poi niente.



                C'è una cosa che mi ha stupito in quel libro, signora Ginzburg:
                questa esitazione, questo pudore a parlare fino infondo di Leone

                Ginzburg. Tutti sanno che egli morì al sesto braccio di Regina
                Coeli, nel 1944, massacrato di botte dai tedeschi. Ma lei dice

                solo: «Poi Leone morì», e, quando ne parla, ne parla con una
                certa  freddezza,  ripetendo  solo  che  era  intelligentissimo  e

                brutto.


                Era  brutto.  Coi  capelli  neri  e  folti,  bassi  di  attaccatura,  gli

                occhiali cerchiati di nero, e dava l'impressione di essere nero,
                nerissimo. Lo conobbi che avevo diciassette anni e avevo scritto

                la  mia  prima  novella.  Mario  entrò  in  camera  mia  e  disse:

                «Dammi la novella che la faccio leggere a Benedetto Croce». Io
                gliel'ho data e poi sono andata di là a vedere Benedetto Croce

                che  era  questo  Ginzburg  tutto  nerissimo  e  brutto.  Ecco.



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