Page 332 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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Certo  a  nessuno  quanto  a  Natalia  Ginzburg  il  titolo  di  questo
                libro,  Gli  antipatici,  si  addice  così  scarsamente.  Per  nessuno

                quanto per lei va preso come un gioco, uno scherzo. Fra tutte le
                donne di questo libro essa è la migliore e quella che suscita i

                sentimenti migliori. Dice Natalia Ginzburg che quando si scrive
                bisogna  scordare  i  sentimenti,  usare  al  loro  posto  distacco  e

                ironia.  Ed  io  penso  che  abbia  assolutamente  ragione:  ma

                scrivendo  di  lei  non  riesco,  non  riuscirò  mai  a  scordare  i
                sentimenti che suscita in me, usar l'ironia che le è cara e mi è

                cara.  Il  foglio  su  cui  scrisse  con  la  sua  calligrafia  contorta  e
                infantile i versi su Ginzburg io l'ho incorniciato e l'ho appeso in

                camera mia.


                ORIANA  FALLACI:  C'è  la  copia  di  un  suo  libro,  signora

                Ginzburg, che vorrei mostrarle: quello che lessi nei primi anni
                del dopoguerra quand'ero un'adolescente con una gran voglia di

                scrivere  e,  per  imparare  a  scrivere,  divoravo  libri  con  una
                golosità  che  non  ho  mai  più  provato.  Una  mattina  andai  a

                comprare,  nella  libreria  dinanzi  al  liceo  Galilei  di  Firenze,  la

                tavola  dei  logaritmi  e  sul  banco  c'era  quel  libro:  Natalia
                Ginzburg,  È  stato  così.  Era  un  libro  molto  piccolo,  con  un

                ritratto di Modigliani sulla copertina, e cominciava, ricordo, con
                la frase «Gli ho sparato negli occhi». Io avevo i soldi precisi per

                la tavola dei logaritmi e anziché quella comprai il suo libro che
                subito  lessi  e  per  molti  mesi  tenni  sempre  con  me.  Vorrei

                mostrarglielo  perché  è  cincischiato  come  un  libro  di  scuola,
                pieno  di  appunti  così:  «Ripassare  Bergson  e  il  pragmatismo»,

                «Ricordarsi di Erodoto»,


                «Farsiprestare  la  tavola  dei  logaritmi».  Sul  risvolto  della

                copertina  c'era  la  sua  fotografia:  un  volto  maschile,  doloroso,

                quasi  tagliato  nel  legno.  Mi  piaceva,  quel  volto,  perché  non
                sembrava il volto di una scrittrice ma assomigliava al volto di

                mia zia: una brava donna senza civetterie che tiene tanto bene i



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