Page 330 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
P. 330
aspettavamo e lui non tornava, lo aspettavamo il pomeriggio, la
sera, la notte, il mattino seguente, il pomeriggio seguente, la
sera seguente, la notte seguente, e lui non tornava, e non
sapevamo neanche se era stato arrestato, finché lo sapemmo, e
ce lo fecero anche vedere, a me e alla mia mamma, nel
parlatorio del carcere: un omino senza cintura, senza cravatta,
senza lacci alle scarpe, un viso giallo e gonfio di botte, una voce
gentile che ripeteva non preoccupatevi, al massimo mi
manderanno in Germania, se mi mandano tento di buttarmi dal
treno.
Solo che mio padre era tornato e Leone Ginzburg non era
tornato. Era morto senza che lei lo rivedesse nemmeno una
volta, senza che ne risentisse la voce nemmeno una volta, non
poteva neanche cercarlo perché non scoprissero il suo vero
nome, dicevano d'essere fratello e sorella anziché moglie e
marito, e così era morto con la sua mascella spaccata, la sua
speranza finita, solo in una stanzina dalle pareti sporche, mentre
il giorno entrava a righe dalle inferriate. La cosa assurda è che
mentre dicevamo, pensavamo queste cose, io avevo voglia di
piangere e lei no, la mia voce tremava e la sua no. Parlava anzi
con labbra ferme, occhi fermi, immobile su quel divano, le
braccia conserte, e quando le chiesi di scrivermi la poesia che
dedicò a Leone, anni addietro, anche le sue dita erano ferme.
Con dita ferme riempì il foglio bianco, con dita ferme me lo
porse perché lo leggessi.
Due sere dopo il nostro incontro ci fu, al Ninfeo di Villa Giulia,
l'assegnazione del Premio Strega: che lei non sperava di vincere.
Il mio articolo era già fatto e spedito, non mancava altro che
aggiungervi se fosse arrivata prima o seconda, e non avevo
nessuna voglia di andare a mischiarmi coi membri dell'assurdo
partito che chiamano mondo letterario, i noiosi signori che a
parlarci risultano sempre meno intelligenti di quel che siano e
330