Page 111 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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telefono, senza gente d'intorno.


                D'inverno il villaggio conta sì e no tre persone, d'estate cinque,

                forse dieci: la grande solitudine. Io amo la grande solitudine, da

                molto  tempo  non  amo  più  la  città,  la  folla.  Ne  ho  abbastanza
                della  città,  della  folla:  sono  parigina,  la  vita  mi  ha  viziato  in

                abbondanza, e a un certo punto uno si stanca di stare con gli
                altri, di guardare gli altri. In casa non tenevo neppure una donna

                di servizio. Mi trovavo sola, anche il 15 luglio: quando sbagliai
                il  maledetto  medicinale.  Era  sera,  avevo  mangiato  con  amici,

                forse ero stanca. Aprii la bottiglia per l'occhio sinistro e versai le
                gocce  nell'occhio  destro.  Una  quantità  enorme.  Poi  spensi  la

                luce,  entrai  nel  letto,  e  quasi  subito  mi  esplose  quel  dolore
                diabolico in testa.



                Bruciava come il fuoco, la testa. Ed io non avevo il coraggio di

                accender la luce. Poi accesi la luce, e vidi il buio.


                Ah, ripensarci!



                Non  ci  pensi,  Madame.  Non  me  lo  racconti,  Madame.  Parli

                d'altro.


                Il  buio.  Bene,  dissi,  son  cieca.  Avevo  un  occhio  e  ho  perso

                anche  quello.  Perché  vivere,  ormai?  E  mi  chiusi  in  casa,  a
                lasciarmi  morire.  Niente  suicidio,  badi  bene,  niente  veleni:

                semplicemente  a  lasciarmi  morire.  E  questo  durò  quasi  tre
                giorni,  fin  quando  qualcuno  nel  villaggio  andò  a  chiamare  un

                dottore,  e  il  dottore  fece  venire  un  aereo,  per  trasportarmi  a
                Nantes.  C'era  un  campo  d'aviazione  inutilizzato,  a  Belle  Isle.

                L'aereo  atterrò  e  decollò:  con  me  e  il  dottore.  Poi  fui
                all'ospedale,  mi  operarono,  mi  fasciarono  la  testa  come  a  una

                mummia,  mi  dissero:  «Stia  immobile,  non  si  muova  di  un

                millimetro sennò è perduta», io restai ferma ma solo perché non




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