Page 112 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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mi importava nulla di nulla. Fu una cosa buffa a restituirmi alla
                vita. Le cose buffe mi hanno sempre salvato. Furono due voci,

                quelle  dei  medici  che  mi  avevano  operato.  «Desidero
                complimentarmi,  carissimo,  per  l'ottimo  lavoro  che  ha  fatto»

                diceva il primo. «Ma no, caro amico, che dice? Sono io che mi
                complimento con lei» diceva l'altro.



                «La  prego:  il  maestro  è  lei.»  «No,  lei.»  Scoppiai  a  ridere,  a

                ridere,  immagini  questa  mummia  bendata  che  ride  come  una
                matta... E la follia svanì con la disperazione. La disperazione...

                capisco che possa esistere: ad esempio quando il dottore ti leva
                le bende, ti mostra una mano, e chiede «La vede?». Una mano,

                solo  una  mano.  Non  è  gran  che  una  mano.  Ma  tu
                devitisjpondere se la vedi o no, e da ciò dipende ogni cosa. Così

                non hai coraggio di sollevare le palpebre, poi le sollevi e vedi
                un'ombra che assomiglia a una mano, non conti le dita perché

                non le vedi nemmeno, le dita, ma la mano sì: bene o male. E
                allora...  Hanno  scritto  che  amavo  tanto  i  miei  occhi,  che  li

                amavo più delle mie mani: non è vero. Le attrici fanno sempre il

                giro  dell'occhio,  lo  massaggiano,  lo  tingono,  gli  stirano  la
                rughetta,  ma  non  si  occupano  mai  dell'occhio.  Mi  sembrava

                tanto normale avere due occhi. Mi scappava da ridere quando
                Mauriac scriveva... cosa scriveva?



                Scriveva:  «Quegli  occhi  emersi  da  non  so  quale  incorruttibile
                infanzia».



                Bè?  Si  deve  parlare  sempre  degli  occhi?  Non  si  potrebbe

                cambiare discorso?


                Certamente,  Madame.  Dicevo  dunque  del  ruolo  che  lei  ha

                recitato in un'epoca: l'epoca d'oro di Carnè e di Prévert, di Henri
                Jeanson e di Jouvet, di Barratili e di Michel Simon. Era il 1938,

                l'ultimo autunno di pace, quando lei interpretò Hotel du Nord. I




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