Page 106 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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avevano mandato per questo a Parigi da lei, non perché sia
ancora un personaggio alla moda. Ma non sapevo che fosse
cieca a quel punto: al punto di non distinguer la luce in un
pomeriggio di sole. C'era tanta luce nella stanza di Arletty: c'era
la luce del sole e la luce delle lampade. Ma lei non la vedeva e
continuava a ripetermi di accender le lampade. Non vedeva
nemmeno sé stessa nello specchio di fronte e questo era l'unico
regalo che il cielo si degnasse di farle: al posto della splendida
donna che avevo ammirato quando il primo ragazzo mi aveva
tenuto la mano in un cinema, c'era una vecchia dai capelli
stopposi, gli occhi fissi e annacquati come gli occhi di un pesce,
un corpo di vecchia che non ricordava d'essere vecchia e per
questo indossava soltanto una calzamaglia impudica, d'un nero
trasparente. Sulla calzamaglia teneva una sciarpa rossa,
lunghissima. Ed io speravo sempre che la sciarpa la coprisse un
pochino, mi irrigidivo ogniqualvolta scivolava per terra.
Quando Arletty giaceva sopra il divano avrei voluto
rimboccargliela intorno, quella sciarpa, a mò di coperta, e
distoglievo lo sguardo per udire solo la voce. La sua voce è
stupenda. Conquista come le cose che dice. Se qualcuno mi
chiedesse chi mi ha conquistato di più con le cose che diceva,
risponderei Arletty: la cinica, atea, coraggiosa Arletty.
Arletty è anche la donna più sola che ho conosciuto. E sola
perché non crede in Dio, e non la culla nemmen l'illusione di
vedere da morta. È sola perché vive in quel buio popolato
soltanto di buio. È
sola perché nessuno le fa compagnia. Non c'era nessuno quando
arrivai e non c'era nessuno quando me ne andai. Fu lei che
venne, sola, ad aprire la porta. Gli amici si dimenticano di
andare a trovarla, le cameriere resistono poco. Gli uni e le altre
si annoiano a sentirla sempre parlare degli occhi: «Gli occhi, gli
occhi! Lei non sa quanto è fortunata: possiede gli occhi». Né io
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