Page 98 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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gola per cercare la cicatrice lasciata quel pomeriggio di sabato
                di otto anni fa quando, con una lametta da barba, aveva tentato

                di  uccidersi.  Non  si  vedeva  nulla:  solo  un  filo  sottile  che
                sembrava una ruga. Forse era davvero una ruga.

                  Judy ebbe un mesto sorriso. Annuì. Poi mi porse una scatola di
                dolci. «Cioccolatini» disse, e con aria avida se ne ficcò due in
                bocca.  «Per  anni  e  anni»  brontolò  masticando  «mi  hanno

                proibito di mangiare dolci. Ora faccio quel che diavolo voglio.
                Ingrasso.  Ma  non  mi  calmo.»  Quasi  con  collera  agguantò  un

                altro  cioccolatino.  Poi  il  suo  sguardo  si  posò  sopra  una
                fotografia di tre bimbi. Me la porse.
                  «Sono i miei figli,» disse «Liza, Lorna e Joe. Non sapranno

                mai che cosa significhi lavorare nel cinema. Non voglio che la
                loro  vita  sia  rovinata  da  Hollywood  come  la  mia.  Devono

                crescere come creature normali, loro.» E un po'"per volta, senza
                che la sollecitassi nemmeno, il racconto le fluì dalle labbra. Lo

                riferisco tale e quale, per non sciuparlo.
                  «Non avevo mai chiesto di diventare una attrice. Non sono mai

                stata bella, non sono mai stata una Duse e tutto quello che so
                fare  è  cantare.  Ma  decisero  di  farmi  diventare  un'attrice  da
                quando  avevo  dieci  anni  e  cantavo  con  papà  e  le  sorelle  in

                teatro. Mi vide un tale della MGM e poi mi fece un provino e io
                divenni  proprietà  della  MGM.  Così,  mi  tolsero  dalla  scuola

                pubblica e mi misero alla scuola della MGM dove c'erano altri
                sei ragazzi- prodigio. Deanne Durbin, Mickey Rooney eccetera.

                Poi mio padre morì e la MGM divenne mio padre. La parola di
                Louis Mayer, il capo della MGM, era un ordine.

                  Quando mia madre voleva minacciarmi, diceva: "Lo racconto
                al signor Mayer".
                  «Dapprima non successe nulla: ero una bambina come tante

                altre, mi piacevano la cioccolata e i gelati.
                  A tredici anni cominciai a ingrassare. Allora il signor Mayer si

                arrabbiò  e  tutti  cominciarono  a  dirmi  quel  che  dovevo  e  non
                dovevo  mangiare.  Per  mesi  e  mesi  le  cameriere  del  ristorante

                della MGM



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