Page 93 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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faceva pena e pensavo che non avrei saputo che domandarle. Mi
                capitò  di  conoscerla,  invece,  dopo  che  Hedda  Hopper  me  ne

                ebbe  parlato  con  tanto  astio  e  l'incontro  avvenne  in  casa  di
                Valentina Cortese, che ci aveva invitate a colazione insieme con

                Marisa Pavan.
                  Stavamo per metterci a tavola, quando una ragazza di media
                statura e incredibilmente sottile, dal volto lungo e stretto come il

                muso di un levriero, il naso grande e aquilino, gli occhi da gatta
                diabolica,  arrivò  esitante,  come  se  a  ogni  passo  si  sentisse

                svenire. .
                  Mi colpì soprattutto il modo che aveva di rizzare l'esilissimo
                collo in un gesto di trionfo e di sfida, e il sorriso sforzato. C'era

                in lei qualcosa di vittorioso e di fatidico insieme. Non era una
                donna felice.

                    Parlava  poco  di  sé  e  del  marito,  sembrava  chiusa  in  una
                spaventata  diffidenza.  Mi  disse  che  rimpiangeva  il  mestiere

                lasciato,  mi  invidiava  il  lavoro,  anche  a  lei  sarebbe  piaciuto
                scrivere  di  Hollywood,  ma  come  avrebbe  fatto  a  scriverne  in

                modo  sincero  dovendoci  vivere?  Parlava  di  Hollywood  con
                immenso  disprezzo  dicendo:  «Tutto  quello  che  trovi  di  utile
                sono  i  distributori  di  benzina.  Di  Roma  ti  ricordi  per  le

                cattedrali. Di Parigi per i bistrot. Di New York per i grattacieli.
                Di  Hollywood  per  i  distributori  di  benzina.  Che  puzza!».  Mi

                disse  che,  da  quando  era  arrivata  laggiù,  non  aveva  concesso
                neppure una breve intervista. Poi, non so perché, mi portò a casa

                sua per conoscere Anthony, il bimbo nato da quel matrimonio.
                  I Peck abitavano in una villa modesta di Summit Ridge, poco

                lontana da quelle fastose di Mary Pickford e di Fred Astaire. La
                bella casa che Gregory possedeva l'hanno dovuta lasciare, per
                decisione  del  giudice,  all'ex  moglie  Greta.  Veronique  me  lo

                raccontò senza che glielo chiedessi, poi fece il resto della strada
                senza parlare. L'automobile che guidava era vecchia e bruttina:

                l'unica che Gregory Peck possedesse. Un'altra, assai lussuosa, il
                giudice aveva ordinato di cederla a Greta, con la casa.

                  «Ah, sì!» commentò Veronique con un amaro sorriso, quasi



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