Page 96 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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Gable,  e  tutti  sembravano  molto  eccitati:  cantava  infatti  Judy
                Garland dopo una assenza di quattordici mesi e un esaurimento

                nervoso  durato  ancora  di  più.  «Guardala  bene»  mi  disse  Liza
                «se vuoi capire questa città.» Poi l'orchestra prese a suonare e,

                con passo esitante, quasi spinta da qualcuno che dietro le quinte
                si  raccomandava,  Judy  Garland  avanzò  sull'immenso
                palcoscenico, inondata da fasci di luce.

                  Era piccola e gonfia, indossava un mantello di lustrini che si
                accendeva di improvvisi bagliori.

                  Tremava come un cane bagnato. Dalla seconda fila centrale
                vedevo  benissimo  il  suo  volto  bianco  e  spaventato,  i  grandi
                occhi colmi di angoscia, le mani che si intrecciavano senza posa

                facendo schioccare le nocche. Qualcuno, quasi a farle coraggio,
                gridò: «Forza, Judy!». Judy annuì, poi agguantò il microfono,

                cominciò a smontarlo in su e in giù, infine ci appoggiò la bocca
                e disse:

                  «Buona sera, gente. Ho paura». Qualcuno rise, credendo a una
                battuta di spirito, Liza mi sussurrò:

                  «Ha paura davvero. È tutta la sera che piange e si imbottisce di
                pillole».
                  «Vi canterò qualcosa di nuovo» disse poi Judy portandosi una

                mano  alla  tempia,  come  se  le  dolesse  il  capo.  «Prima  però
                voglio un bicchiere d'acqua perché ho una gran sete.» Di nuovo

                risero, pensando a un'altra battuta. Frank Sinatra si agitò sulla
                panca come se avesse le pulci.

                  «Gosb!» brontolò Liza. «Ora sviene.» Portarono il bicchiere
                d'acqua. Judy lo bevve d'un fiato e poi fece cenno all'orchestra.

                Cantava You Made Me Love You. Aveva appena intonato una
                strofa quando un aereo passò sopra l'anfiteatro.
                    L'aeroporto  di  Los  Angeles  è  abbastanza  vicino  al  Greek

                Theater.  Decollando,  gli  apparecchi  ci  passano  sopra  con
                rumore assordante, ma tutti ci sono abituati e nessuno ci bada.

                Nessuno,  fuorché  Judy  Garland.  Di  colpo  la  voce  le  morì  in
                gola.  Interruppe  la  strofa,  alzò  gli  occhi  al  cielo,  e  col  pugno

                teso  gridò:  «Go  to  hell!»  (Và  all'inferno!).  Anche  l'orchestra



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