Page 37 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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domandai.
                  «Bette Davis, non lo vedi?» risposero. La statua che le stava

                vicino udì, e parve impaurita. Era una statua vestita da uomo.
                Infilava un'oliva con la forchetta e la sua mano tremò. L'oliva

                sgusciò dispettosa dal piatto e andò a nascondersi dentro la tasca
                della sua giacca. Lui guardò tra le ciglia, lasciò l'oliva dentro la
                tasca della sua giacca e ne infilò un'altra senza alzare la fronte

                dal piatto: stavolta riuscendoci. Aveva il collo corto e per questo
                sembrava un po'"gobbo. Ma era una bellissima statua. «Chi è?»

                domandai.
                  «Gregory Peck, non lo vedi?» risposero. No, non lo vedevo.
                C'era una donnina dal corpo spiaccicato che nascondeva le ossa

                sotto un mantello di capelli tiziano e si chiamava, mi dissero,
                Rita Hayworth. C'era una bionda dalle braccia grasse e il volto

                di bambola morta e si chiamava, mi dissero, Kim Novak. C'era
                un'altra  bionda  colla  faccia  disfatta,  le  labbra  atteggiate  a  una

                smorfia di disgusto che la imbnittiva e si chiamava, mi dissero,
                Lana Turner. C'era un vecchio coi baffi e i capelli di argento e si

                chiamava,  mi  dissero,  Clark  Gable.  E  tutti  sembravano  più
                vecchi,  o  più  brutti,  e  i  loro  volti  che  riescono  a  esprimere  e
                provocare  tante  emozioni  quando  si  vestono  coi  lineamenti  di

                un  personaggio,  ora  erano  completamente  privi  di  vita.  Non
                assomigliavano  affatto  all'immagine  che  ci  facciamo  dei  divi.

                Facevano pena, talvolta allegria perché erano buffi, e mi sentivo
                vagamente imbrogliata.

                  «Anch'io mi sentivo imbrogliato quando venni quaggiù» disse
                lo scrittore che chiamavano Bill, un giovanotto scarno e vivace,

                col naso adunco e gli occhiali. Dietro gli occhiali il suo sguardo
                esprimeva una dolorosa ironia.
                  «Mi ci volle tempo a capire che erano fatti, come noi, di nervi

                e di carne. Visti da vicino, sembravano falsi come gli sfondi su
                cui  girano  i  film.  Ha  mai  visto  dove  girano  i  loro  film?»  Li

                avevo visti, e come! Ero stata agli studios della 20th Century
                Fox  che  sono  i  migliori  del  mondo,  capolavori  di  tecnica.

                Perfino i sassi erano falsi sebbene non vi sia alcun bisogno di



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