Page 32 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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Lincoln. Se Lincoln non avesse portato le basette, li avrei detti
due ritratti di Miller. «Gli assomiglia davvero, come dicono»
esclamai.
Miller ebbe un sorriso impacciato e ficcò le mani in tasca,
dondolandosi sui larghissimi piedi, quasi a nascondere
l'imbarazzo.
«Un tempo» disse «questa storia mi dava fastidio. Ho troppo
rispetto per Lincoln e non ci credevo.
Ma un giorno mia figlia Jane trovò una moneta con la testa di
Lincoln e si mise a gridare che avevano stampato sui soldi papa.
Così mi rassegnai e decisi che c'era qualcosa di vero. Gli
assomiglio soprattutto nella parte sinistra» disse coprendo metà
del ritratto e avvicinandoci la faccia. Parlava a voce bassa e
lenta, con una sfumatura di ironia e una infinita pazienza, come
se ripetesse un discorso venuto a noia. Gli domandai se i ritratti
fossero suoi e se li avesse sistemati in quel punto per prendersi
in giro. «No, no» disse Miller. «Appartengono a Marilyn. Li
aveva prima di conoscere me. Credo di esserle piaciuto
soprattutto per questo. Quello sopra lo teneva a capo del letto,
ma quando ci sposammo la pregai di spostarlo. Non potevamo
dormire con Lincoln che ci fissava in quel modo severo. Mi
metteva a disagio.» Entrammo nella stanza di soggiorno. Miller
esitava. Sem; brava volesse dirmi qualcosa. Poi non la disse.
Nella stanza c'era un pianoforte, un divano, qualche poltrona, un
bar pieno di bottiglie intatte.
Marilyn e Arthur sono astemi.
«Abbiamo affittato questo appartamento da molto tempo, ma
l'anno è stato troppo movimentato.
Prima il film in Inghilterra, poi il processo, poi la gravidanza
interrotta. Solo ora cominciamo ad arredarlo con mobili nuovi»
disse Miller. La lampada illuminava suggestivamente le sue
guance scavate, il naso imperioso, i grandi occhi nocciola che
scrutano la gente con inaspettata bontà, e l'incipiente calvizie.
Ma guardavo in direzione dell'uscio, in attesa che Marylin
arrivasse col caffè.
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