Page 36 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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Capitolo primo
La sala aveva le pareti e il soffitto dipinti di rosso, il
pavimento di marmo rosso, le poltrone di velluto rosso, i
camerieri con le giacche rosse, e le lampade erano spente. Le
statue di cera sedevano a tavoli rotondi, illuminate da quelle
candele che in chiesa si mettono davanti ai quadri dei santi, e in
quella penombra colore del sangue i loro volti spiccavano senza
espressione, immobili sotto la cipria.
Ogni invitato aveva al suo tavolo una statua di cera. O un
uomo o una donna che un giorno sarebbero diventati statue di
cera. Io stavo con Sofìa Loren, la sorella Maria, un greco che
faceva la corte a Maria per consolarsi di non poterla fare alla
Loren, uno scrittore che chiamavano Bill e un gigante col frac.
Il testone assonnato gli ciondolava sul frac, come se fosse
imbottito di piombo.
Aveva il naso torto e un ricciolo appiccicato alla tempia
sinistra. Fissava una coscia di pollo e taceva.
«Hello, Bob» disse la Loren con la sua voce stuzzicante. Era
vestita di bianco, da ogni poro della sua pelle abbronzata
schizzava una vitalità animalesca. Ma il gigante non se ne
accorgeva. Il suo testone ciondolò, come i bambolotti del tiro a
segno quando vengono colpiti da una palla di cencio, e dalle sue
labbra uscì un indistinto grugnito.
«Chi è?» domandai allarmata.
«Robert Mitchum, non lo vedi?» risposero. Il testone dondolò
ancora e fece una smorfia.
«S'è arrabbiato?» chiesi, più allarmata che mai. «Oh, no. Ha
sorriso» risposero. Dal tavolo accanto una statua di cera si
mosse.
Era coperta di trine, aveva un gran cesto di capelli castani e
ricciuti, i suoi occhi troppo grandi sporgevano dalle orbite con
infinita tristezza. Appoggiava il mento alle mani e aveva un
cerotto sull'indice. Aveva anche un cerotto sul braccio. Pareva
ammalata. Il suo volto non mi ricordava nessuno. «Chi è?»
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