Page 27 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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aveva la dolcezza di una canzone d'amore. Sì, sì, ogni
complesso era svanito. Marilyn poteva abitare a New York
senza turbarmi. Potevo perfino telefonare a Irving Hoffman
senza il pericolo di dargli fastidio.
Irving venne ed era sempre pallido e miope, col suo cappello
sulla nuca e quell'aria eccitata. Dio com'era buono il whisky
senza parlarmi di Marilyn! Com'era simpatico Irving a non fare
il suo nome!
Parlava delle elezioni, parlava del mio vestito a sacco che in
America ancora non era di moda e sembrava ridicolo, parlava
dell'Ungheria dove avevo fatto capolino durante la rivoluzione.
«Come t'invidio! Erano così eroici i partigiani ungheresi?»
Sorrideva, affettuoso, e non mi accorgevo che rimandava un
discorso. Infatti, all'improvviso, il sorriso gli sparì dalle labbra.
E cupo, quasi mi annunciasse una catastrofe familiare, Irving
disse: «Darling, sarebbe disonesto se io tacessi.
Darling, dovresti farci un articolo. Darling, non mi guardare
così. Darling, Marilyn aspetta un bambino».
«Oh, no! No, no, no!» gridai rovesciando il whisky. Un sudore
ghiaccio mi bagnava la fronte.
Bisogna sapere cosa sono i giornali per capire quanto sia
importante, per loro, la notizia che Marilyn aspetta un bambino.
È importante, per loro, come una guerra, come la morte di un
papa, come il matrimonio di un re. E un giornalista che non da
al suo giornale una notizia importante, sapendola, è considerato
alla stregua di un traditore. Mi alzai barcollando.
«Accompagnami, Irving»
dissi. «Sto male.» Facemmo la strada fino all'albergo in
silenzio, mentre io meditavo il mio tradimento. No, non avrei
permesso a Marilyn Monroe di rovinarmi anche queste poche
ore a New York. Non avrei ricominciato quella stupida caccia
per lei. Non avrei scritto l'articolo. Dopotutto il mio lavoro era a
Hollywood. Presi la chiave della mia camera e dissi a Irving
guardandolo bene negli occhi: «Io non so nulla. Tu non mi hai
detto nulla. Intesi?». «Intesi» rispose Irving. «C'è un
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