Page 23 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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chiavi dell'appartamento e vi girava da padrone.
                    Fu  infatti  Milton  Greene  che,  al  quarto  giorno,  rispose  alla

                telefonata di Irving Hoffman. Il fatto che Irving avesse il suo
                numero  lo  irritò.  Rispose  che  Marilyn  non  c'era  e  semmai

                l'avrebbe avvertita.
                  Fu un grave colpo per Irving. E anch'io, quando vidi la sua
                faccia dolente, cercai di mostrarmi molto dispiaciuta.

                  «Bene,» dissi «a questo punto non c'è proprio più nulla da fare,
                tanto  vale  che  prenda  l'aereo  e  torni  a  casa  mia.»  Rinunciavo

                volentieri a New York pur di uscire da quell'incubo. Ma Irving
                disse di no, che non potevo partire. Le decine di persone che
                avevano  lavorato  per  me  erano  riuscite  a  rintracciare  Lois

                Weber,  press  agent  e  amica  di  Marilyn,  e  Lois  Weber  aveva
                telefonato promettendo in ogni modo di avvertire Marilyn. Mi

                avrebbe chiamata non appena avuto l'appuntamento. Era dunque
                necessario  che  restassi  in  albergo  e  non  mi  muovessi  di  lì.

                Questo era davvero noioso, ma non potevo offendere la cortesia
                di tante persone; e fu così che dovetti rassegnarmi a passare in

                una  camera  al  diciottesimo  piano  del  Park  Sheraton  Hotel,
                dinanzi all'apparecchio della TV, le mie ultime quarantotto ore a
                New York. Fu la più insopportabile indigestione televisiva che

                avessi mai fatto. Dopo un giorno e una notte di reclusione avevo
                visto quattordici film, cinque incontri di pugilato, otto partite di

                rugby,  dieci  notiziari,  tre  opere,  cinque  operette,  sette
                programmi  per  bambini,  due  spettacoli  a  beneficio  dei

                poliomielitici,  diciotto  programmi  musicali,  due  lezioni  di
                cucito,  quattro  di  pediatria,  un  centinaio  di  annunci.  Potevo

                ormai cucinare ogni soufflé di formaggio, fasciare il più bizzoso
                dei neonati, cantare qualsiasi canzonetta da cowboy, descrivere
                con perizia il colpo che aveva fatto vincere Sugar Robinson su

                Bobo Olson, raccontare gli avvenimenti dell'Indocina, spiegare
                al  più  ignaro  perché  il  succo  di  pomodoro  fabbricato  nel

                Tennessee è migliore di quello fabbricato nell'Oklahoma. Tutto
                questo mentre rispondevo al maggior numero di telefonate della

                mia vita.



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