Page 19 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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venerdì mi mancava ancora la più piccola indicazione. I colleghi
italiani partecipavano alle ricerche col mio stesso furore, come
se l'intervista avessero dovuto farla loro. Eravamo indispettiti,
indignati, accettavamo ogni suggerimento con ostinazione
infantile. «Le piace il jazz,» ci dicevano «provate ad andare
dove suonano il jazz.» Ci recavamo nei night- club famosi per i
complessi di jazz e per ore e ore ci facevamo assordare dai
tamburi dei negri o sopportavamo i miagolii delle cantanti di
blues, scrutando la penombra alla ricerca di una testa platinata
che assomigliasse a quella di Marilyn. «Le piacciono i locali
eleganti, perché non andate a El Morocco?» Ed eccoci a El
Morocco, assonnati negli abiti da sera, a interrogare i camerieri
per avere notizie. Talvolta ci dividevamo le indagini.
Uno andava al teatro, uno al cinema, uno al ristorante dove la
si poteva trovare. Visitammo, in sole due sere, dodici ristoranti,
diciotto night- club, otto cinema, quattordici teatri. Jean Govoni
Salvadore, un'amica romana che a New York conosce gente
importante, sembrava impazzita. Dopo le inutili escursioni, il
suo bel volto bianco, incorniciato dai capelli rosso fiamma,
sembrava quello di un'ammalata. Mi toccava consolarla,
dicendole di farsi coraggio, ci saremmo riuscite.
Fu Jean, alla fine, ad avere l'idea di telefonare a Irving
Hoffman, colui che avrebbe messo a soqquadro New York e mi
avrebbe procurato un insperato quarto d'ora di pubblicità. Irving
è uno dei publicity men più noti d'America. Non c'è personaggio
al mondo che Irving non conosca. Fu lui ad accompagnare la
regina Elisabetta a mangiare gli hot dogs in un drugstore
quando, non ancora salita al trono, essa venne con Filippo negli
Stati Uniti. Conosceva Marilyn come le tasche della sua giacca.
«Non c'è cosa al mondo che non farei per Hoffman» aveva
detto un giorno la diva. Gli chiedemmo aiuto con lo stesso tono
di voce con cui si telefona a un medico nel cuore della notte. «È
semplicissimo» disse Irving. «Ho perfino il suo indirizzo: 60,
Sutton Place. Ora le mando un telegramma.» Quella sera
mangiammo tutti con appetito e andammo a letto senza visitare
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