Page 22 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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«Andiamo.» Mi guardò annichilito. «Siamo in America. Credi
                di  poter  aggredire  un  personaggio  come  la  Monroe  senza

                preavviso? Nessun portiere ti farebbe varcare la porta. Prima le
                scriveremo una lettera.» La lettera venne spedita la sera stessa e

                poche ore dopo tutta New York lo sapeva.
                  Ricominciavano le telefonate dei reporter, le loro attese nella
                hall del mio albergo. Louella Parsons richiamò da Hollywood,

                Jean  aveva  l'emicrania,  io  avevo  il  mal  di  stomaco.  Non
                potevamo andare a un cocktail senza essere subito individuate,

                accerchiate, interrogate. Volavano le scommesse.
                    «Riuscirà  la  giornalista  italiana  a  intervistare  la  Monroe?»
                Molti giuravano di sì, altri sostenevano che Milton Greene non

                lo avrebbe permesso. «L'ha ipnotizzata, capisci? Ne fa quel che
                vuole e la tiene nascosta per renderla più interessante. Capirai,

                quella povera ragazza è la Banca d'Inghilterra.»
                  Certi sostenevano che Marilyn non leggeva nemmeno le lettere

                e  i  telegrammi:  qualcuno  li  leggeva  prima  di  lei  e  glieli  dava
                solo  se  lo  riteneva  opportuno.  La  diva  sapeva  e  subiva.  Era

                torturata dall'idea di essere stupida e aveva bisogno di qualcuno
                che  decidesse  al  suo  posto.  Per  questo  leggeva  Dostoievski,
                cercava di istruirsi e studiava recitazione all'Art Laboratory di

                Elia Kazan. Per questo era fuggita da Hollywood, città che odia,
                e  restava  a  New  York,  città  che  ama  perché  ci  si  nasconde

                facilmente.  In  pubblico  si  faceva  vedere  solo  quando  Milton
                Greene  lo  riteneva  opportuno;  e  allora  era  capace  anche  di

                recitare la parte della ragazza soddisfatta e vivace, indossando
                gli abiti che un famoso industriale le fabbricava gratuitamente

                per poi lanciarli come i modelli di Marilyn Monroe; e fingendo
                di  bere  grossi  bicchieri  di  whisky  che  invece,  come  qualcuno
                aveva  avuto  modo  di  constatare,  nient'altro  erano  che  té

                ghiacciato.  Spesso,  poi,  spariva  di  circolazione  o  andava  nel
                Connecticut  a  passare  le  giornate  insieme  con  la  moglie  di

                Milton Greene, Amy, brunetta sottile e attraente per la quale si
                diceva che Marilyn avesse una esagerata amicizia.

                  Quando era via, l'ex fotografo controllava la sua casa. Aveva le



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